La stecca digitale della ministra
La ministra dell’Innovazione tecnologica e della Digitalizzazione Paola Pisano è coraggiosa e non teme le gaffe. Fu così quando presentò a fine dicembre il piano elaborato per il governo, alquanto […]
La ministra dell’Innovazione tecnologica e della Digitalizzazione Paola Pisano è coraggiosa e non teme le gaffe. Fu così quando presentò a fine dicembre il piano elaborato per il governo, alquanto […]
La ministra dell’Innovazione tecnologica e della Digitalizzazione Paola Pisano è coraggiosa e non teme le gaffe. Fu così quando presentò a fine dicembre il piano elaborato per il governo, alquanto vago e per di più dichiaratamente debitore alla «Casaleggio Associati». Tuttavia, il regno del cielo digitale ingoia tutto, tanto alle tecniche sovrane sta benissimo che il potere politico si destreggi tra convegni e propositi fantasiosi. Ma, a seguire, la medesima ministra si è ripetuta, invadendo un territorio che più delicato non si può. Non si è limitata ad un discorso generico. Si è incamminata verso una vera e propria soluzione operativa, ipotizzando una password unica per i servizi dell’amministrazione estendibile agli usi privati.
Veloce è arrivata una mezza smentita, basata sul fatto che già esiste un progenitore, lo Spid (sistema di identità digitale), che permette già di accedere a diverse amministrazioni. La differenza tra i due stadi è notevole, però. L’accenno della ministra evoca un ruolo di coordinamento e di “garanzia” da parte dello Stato. Facile temere un «Grande fratello» all’italiana, dove improvvisazione e faciloneria potrebbero risultare non meno insidiose dei progetti dei professionisti del Male, naviganti in incognito nel villaggio globale.
Al riguardo si suggerisce a Paola Pisano, del resto supportata da un curriculum serio, di leggere o rileggere Il capitalismo della sorveglianza (2019, ed Luiss) della docente di Harvard Shoshana Zuboff, recensito sul il manifesto lo scorso 4 ottobre dall’indimenticabile Benedetto Vecchi. Il quadro analizzato dalla studiosa è terribile e chiaro nello stesso tempo: il controllo capillare delle nostre vite non è una devianza, bensì la fisiologia del capitalismo delle piattaforme. Il riconoscimento dei profili dei cittadini-sudditi e l’intrusione nelle esistenze private sono essenziali per scegliere l segmenti di mercato redditizi, per influenzare il clima di opinione e spostare le appartenenze politiche.
Il caso di «Cambridge Analytica» è un ammonimento brutale. E importanti elezioni sono imminenti. Quindi, prima di azzardarsi a immaginare scenari da «algocrazia», è bene condurre un’istruttoria adeguata. Vi sono in Italia esperti stimatissimi, indipendenti dagli «Over The Top».
Purtroppo, ai vari Google, Amazon, Facebook si ricorre, invece, per approntare schemi e modelli operativi. In Spagna diventa giustamente ministro il celeberrimo Manuel Castells. Senza enfasi, da noi lavorano e insegnano personalità omologhe.
Involontariamente, forse, la ministra ha posto un tema vero. La sfera pubblica deve decidere in autonomia, dandosi una visione e una strategia.
In simile contesto, osservando rigorosamente le indicazione del Garante dei dati personali, è credibile affrontare la questione delle password. È doveroso, per non ripetere gli errori, tracciare un bilancio di ciò che è successo in questi anni: «chiacchiere e distintivo», dalla battuta di un celebre film. Agende, Agenzie, portali rompicapo e non comunicanti hanno contribuito a far precipitare l’Italia in coda allo scenario europeo.
Al di là delle chiacchiere serve un coinvolgimento attivo dei cittadini, a partire dalla scuola. E un ruolo va affidato alla Rai.
Insomma, da una gaffe magari nasce un dibattito meno effimero sulla necessità di affidare alla funzione pubblica il compito di pretendere trasparenza nelle operazioni e di “negoziare” gli algoritmi. Se ne sta occupando la Cgil ed è augurabile che le sinistre battano un colpo.
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