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La statua di D’Annunzio celebra la marcia su Fiume

La statua di D’Annunzio celebra la marcia su FiumeD’Annunzio (al centro con il bastone) con alcuni legionari a Fiume nel 1919

Revisione a Trieste Con il monumento non si onora il poeta quanto il «Comandante», il politico ipernazionalista anti-croato che sognava di marciare su Roma (ma Mussolini lo bruciò sul tempo). Lo dice la delibera

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 5 luglio 2019

Guardiamo nel polverone sollevato attorno alla statua di D’Annunzio, che sta per mettere radici nel salotto buono di Trieste.  La giunta comunale vuole celebrare il letterato? Come per Joyce, Saba e Svevo?
Oppure si vuole altro? Quale valenza civica e morale, e perché no: politica, ha l’iniziativa?

Claudio Magris sul Corriere ha scritto che «D’Annunzio è stato e dunque è, come ben sanno anche quelli che giustamente lo detestano sui piano politico e civile, un grande, grande poeta d’ltalia, d’Europa e del mondo». Forzando forse il suo pensiero, il Corriere titola così: «La statua del Vate che divide Trieste. Perché mi schiero con D’Annunzio». Comunque, pare che Magris non si stracci le vesti. 3000 persone hanno firmato invece una petizione fieramente contraria.

Ma la vera questione è politica. Lo dice la delibera 233 della giunta: mostra e statua celebrano il centenario della Marcia su Fiume. Non si onora il poeta quanto il «Comandante», il politico ipernazionalista anti-croato che, dopo essere marciato su Fiume, sognava di marciare su Roma (ma Mussolini lo bruciò sul tempo).

«Il sindaco Dipiazza ha negato che D’Annunzio abbia mai scritto qualcosa contro i croati!». Negare sempre, consigliano gli avvocati. Non si fa una colpa al sindaco di non conoscere ciò che celebra. Capita. Ecco le invettive del «Comandante» nel 1919: «Il croato lurido, s’arrampicò su per le bugne del muro veneto, come una scimmia in furia, e con un ferraccio scarpellò il Leone alato (…) quell’accozzaglia di Schiavi meridionali che sotto la maschera della giovine libertà e sotto un nome bastardo mal nasconde il vecchio ceffo odioso» (vedi gli implacabili Meridiani Mondadori, 2005).

È al Centro studi Rsi che Giordano Bruno Guerri (l’organizzatore della mostra) ha concesso una lunga intervista video – ottime la regìa e le musiche! – per lanciare l’evento. Controllare per credere l’intervista a Giordano Bruno Guerri su YouTube.

Ma ve la immaginate, in Germania, la presentazione di una mostra, che so, su Céline, Ernst von Salomon (suo il romanzo autobiografico sui Freikorps «I proscritti» del 1930), o sul poeta e «Comandante» Anton Drexler, a opera di un Centro Studi del III Reich? Invece da noi è possibile, pare.

Gli onori al «comandante» ricordano altre intitolazioni desiderate o realizzate dal sindaco non si sa quanto consapevolmente: Niccolò Giani (fondatore dell’Istituto di Mistica Fascista e teorico dell’antisemitismo italiano), Almerigo Grilz (ex capo del Fronte della Gioventù, poi giornalista di guerra anche usando le precedenti entrature), Mario Granbassi (giornalista-propagandista fascista volontario nella guerra di Spagna nel 1939) tutti caduti sul campo. Trieste celebrerà un golpista sfortunato, uno che cercava di fare un colpo di stato prima del Duca Emanuele Filiberto di Savoia-Aosta e di Mussolini. C’è chi si affanna a dire che D’Annunzio non era fascista. Ovvio, era dannunziano, nazionalista e edonista estremo, bravissimo promotore di sé stesso, eroe soprattutto con la pelle degli altri.

«Viva la Dalmazia italiana!» ha gridato l’ex presidente Tajani dell’Europarlamento il 10 febbraio scorso a 2 km dal confine con la Slovenia. In sintonia col «Vate»? Ci soccorre un assessore (F.I.) della giunta di Trieste, che il 2 giugno ha celebrato la Festa della Repubblica ricopiando il post ufficiale del «Movimento Irredentista Italiano» con la cartina geografica de «La nostra Italia». «Nulla può dirsi concluso» – si incita, nel 2019! – finché non avremo ripreso «La nostra Italia».
Togliamo alla Francia Nizza, Mentone, Tenda e Briga, l’Altopiano del Monginevro, Valle Stretta, Monte Thabor (oltre Bardonecchia), i Colli del Moncenisio e del Piccolo San Bernardo; ah, sì, pure la Corsica. Alla Svizzera il Canton Ticino e le valli italofone dei Grigioni. Sempre scondo la cartina, Slovenia e Croazia dovrebbero tornarsene ai confini del 1924, lasciandoci Nova Gorica, l’alta Valle dell’Isonzo, la Valle del Vipacco, parte dell’Altopiano Carsico, tutta l’Istria, Fiume e le Isole del Quarnaro e poi tutta la Dalmazia con Zara, Sebenico, Spalato, Ragusa e le isole (togliendo alla Bosnia lo sbocco al mare), più le Bocche di Cattaro (oggi Montenegro). E Malta? dovrebbe annullarsi. «Viva l’Italia Redenta» inneggia l’assessore. Evviva D’Annunzio a Trieste.

Riattizzare le braci dell’irredentismo, quando Trump e Putin concordano nell’aizzare i nazionalismi e dividere quel po’ di Ue che si era riusciti a costruire, può essere pericoloso. E contemporaneamente parlano di voler mettere un nuovo muro di filo spinato sui confini sloveni.

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