Ha più ragione Mikhail Baryshnikov che si è esibito in incognito al Teatro Strehler di Milano o Russel Crowe che annuncia il suo arrivo a Sanremo citando se stesso ne Il gladiatore con la frase «Al mio segnale scatenate l’inferno»? È meglio andare a vedere lo spettacolo di Candace Bushnell ispirato al suo libro The sex and the city che la rese celebre quasi 30 anni fa o riguardarsi l’omonima serie che dal 1998 al 2004 cambiò il modo di vedere le donne in tv? Per sintetizzare con una domanda retorica, è meglio un originale che inventa qualcosa di nuovo o un’operazione nostalgia?

Solo a spettacoli terminati si è saputo che per quindici giorni il grande ballerino di origine russa ha fatto il clown, senza svelarsi, in Slava’s Snowshow di Slava Polunin. Una scelta così parla di amore puro per il teatro, di un desiderio di andare in scena per quel che si fa e non per il nome che si porta. È una lezione di stile e di senso ancora più preziosa oggi, epoca in cui il culto di sé stessi predomina in tutto, dalla politica alle relazioni sociali.

Se si fa spettacolo è fisiologico mettersi in primo piano, ma poiché le persone e la vita sono soggette a un divenire, saperne tener conto fa la differenza. Si possono benissimo fare le operazioni nostalgia, l’importante è essere consci che saranno tali.
Quando Russel Crowe interpretò Il gladiatore era giovane, aitante, pieno di muscoli, senza barba grigia. Sappiamo già che a Sanremo non lo vedremo così come allora, e va benissimo perché tutti si invecchia, va benissimo anche che a lui non importi di aver messo su pancia, ciò nonostante non vorrei doverlo guardare come il gladiatore che fu in un prima/dopo nostalgico. Se canterà con la sua voce baritonale e suonerà con la sua band, gli Indoor Garden Party, sarà inevitabile il confronto fra l’attore vincitore di Oscar e il musicista in un rischiosissimo testa/coda fra quello che gli viene benissimo e quello che avrebbe voluto essere, una rock star.

Sa invece di Ripescaggio di sé lo spettacolo che Candace Bushnell porterà al teatro Arcimboldi di Milano il prossimo 21 febbraio. Intitolato True Tales of Sex, Success and Sex and the City, sarà interpretato dalla stessa Bushnell che, 27 anni dopo la pubblicazione del romanzo, ne racconta la genesi. In tante abbiamo amato le quattro amiche che destabilizzarono le certezze maschili sul sesso e le donne, ma in tante siamo anche rimaste deluse dai due film che seguirono la serie perché già allora si avvertiva l’operazione di marketing. Se la serie tv era un continuo spiazzamento di luoghi comuni, i due film hanno rimesso le quattro amiche nell’ordinario orizzonte borghese, come a voler sottolineare che puoi permetterti di inventare finché sei giovane, poi tutti si ha voglia di rientrare nel consueto. Bushnell, con lo spettacolo teatrale, ripesca le ragioni per cui scrisse la rubrica e poi il romanzo. Il rischio è un’operazione nostalgia sul suo grande successo che racconta una città e un mondo completamente cambiati. Quelli erano gli anni in cui esplose la comicità femminile anche in Italia, gli anni della chick lit, della post caduta del muro di Berlino, della globalizzazione, in tanti non vedevano lo tsunami economico, politico, relazionale, climatico, guerresco arrivare e si illudevano di poter essere spensierati in eterno.

Le operazioni del Come eravamo sono sempre rischiose, dipende da come si guarda al passato, se con rimpianto o senso critico. È un po’ come chi a 70 anni continua a truccarsi, pettinarsi e vestirsi come a 30. Quando il baratro fra ridicolo e patetico è in agguato, meglio farsi venire un’idea nuova.

mariangela.mianiti@gmail.com