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La stabilità prima di tutto

La stabilità prima di tuttoSilvio Berlusconi – Reuters

Troppa grazia Il presidente della Repubblica ribadisce che le sentenze si applicano. Critica Berlusconi per le minacce. Ma finisce per accettarne la logica. Perché la sua stella polare resta salvare il governo e le larghe intese

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 14 agosto 2013

La stabilità innanzitutto. C’è più di una forzatura nella nota di mezza estate del presidente della Repubblica, e lo vedremo. Ma c’è anche subito, nelle prime righe, la spiegazione di cosa ha spinto Giorgio Napolitano a questo gesto anomalo, con il quale il Capo dello stato, che la Costituzione vuole politicamente irresponsabile, ha tenuto in sospeso in una lunga giornata prefestiva le sorti politiche del paese.

«Fatale sarebbe una crisi di governo», scrive Napolitano, spiegando così la sua disponibilità a un gesto di clemenza verso Silvio Berlusconi. L’assunto del presidente è che «il ricadere del paese nell’instabilità e nell’incertezza ci impedirebbe di cogliere le possibilità di ripresa economica». Le esigenze della politica vengono prima di tutto, allora. E anche le «motivazioni», per così dire, stavolta precedono la sentenza che può arrivare dal Colle. E che fa ben sperare il Cavaliere.

Napolitano prende di petto il problema. Lo nomina: sono «i rischi che possono nascere dalle tensioni politiche insorte a seguito della sentenza definitiva di condanna pronunciata dalla Corte di Cassazione nei confronti di Silvio Berlusconi». Tiene fermo che «di qualsiasi sentenza definitiva e del conseguente obbligo di applicarla non si può che prendere atto». E non manca di criticare il Cavaliere per la sua «tendenza ad agitare, in contrapposizione a quella sentenza, ipotesi arbitrarie e impraticabili di scioglimento delle camere». E per il modo «pressante e animoso» con cu il Pdl si è rivolto al Colle. Ma paradossalmente finisce per assecondare quel ricatto, motivando proprio con l’esigenza di non far saltare il governo – e nemmeno la maggioranza delle larghe intese dalla quale il presidente si aspetta ancora la nuova legge elettorale e persino le riforme istituzionali – la sua predisposizione al gesto di clemenza.

Gesto che potrebbe essere, si desume dalla nota, in linea con quello del dicembre scorso con il quale il presidente commutò la pena detentiva del direttore del Giornale Sallusti in pena pecuniaria. Con tutti i rischi di una scelta del genere in favore di un miliardario condannato proprio per aver frodato le casse pubbliche del fisco. In ogni caso la clemenza – grazia o commutazione della pena – inciderà solo «sull’esecuzione della pena principale», ricorda il Colle. È un’affermazione obbligata, non essendo la pena accessoria dell’interdizione ancora definitiva. Il risultato potrebbe essere ancora paradossale: Berlusconi recuperato dal Quirinale alle vita politica e poi fermato di nuovo dai giudici. Nel frattempo, comunque, il Quirinale ricorda che il leader del centrodestra non sarà in nessun caso rinchiuso in carcere, ma potrà scontare la pena in modo da non pregiudicare del tutto la sua leadership. Le pene alternative, cioè, «possono essere modulate tenendo conto delle esigenze del caso concreto».

Prima di ogni cosa, però, il Cavaliere dovrà fare il gesto di chiedere clemenza. Napolitano lo aveva già fatto sapere tramite i canali diplomatici col Pdl, in primis Gianni Letta. Ieri lo ha messo nero su bianco: «Nessuna domanda mi è stata indirizzata». Non si tratta di un passaggio formale, anche se è alla prassi che il capo dello stato fa riferimento sottolineando l’importanza della richiesta di grazia. No, Napolitano aspetta da Berlusconi una presa d’atto della condanna, se non una piena accettazione della sentenza della Cassazione che il Cavaliere fin qui ha attaccato e fatto attaccare a testa bassa.

Alla presa d’atto è legata la possibilità del passo indietro, cioè le dimissioni dal senato. Al Cavaliere chiede un «gesto di rispetto dei doveri da osservare in uno stato di diritto». Ma uguale disponibilità Napolitano chiede al Pd, proprio perché al problema di Berlusconi non dà un valore privato ma, per così dire, «nazionale». «Essenziale – raccomanda – è che si possa procedere in un clima di comune consapevolezza degli imperativi della giustizia e delle esigenze complessive del paese». Al suo partito Napolitano chiede una «realistica presa d’atto di esigenze più che mature di distensione». Chiede un via libera.

E tutto questo il presidente della Repubblica se lo intesta rivendicando la sentenza del 2006 con la quale la Corte Costituzionale (presidente Annibale Marini) risolse il conflitto di attribuzione tra il presidente Ciampi e il ministro Castelli in merito alla grazia a Ovidio Bompressi. Il potere di grazia, da allora in poi, è considerato di esclusiva titolarità del capo dello stato. Una sentenza che non convinse tutti i costituzionalisti, perché venne così a costituire un potere «assoluto». Motiva però col fatto che il capo dello stato, proprio perché politicamente irresponsabile, è estraneo al «circuito dell’indirizzo politico governativo». Ecco perché utilizzare il potere di grazia non per ragioni umanitarie, ma proprio per tenere saldo quel circuito di potere, sarebbe l’ultimo e più clamoroso strappo alla regole. In favore di Berlusconi.

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