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La spina neocoloniale nel fianco dell’America latina

La spina neocoloniale nel fianco dell’America latinaCerimonia religiosa in una chiesa evangelica brasiliana

Chiese evangeliche Le formazioni conservatrici latinoamericane, storicamente alleate della Chiesa cattolica, si stanno riorientando verso i gruppi radicali evangelici, spesso nati o finanziati dagli Stati Uniti

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 14 ottobre 2018

Le chiese evangeliche proliferano in tutta l’America latina – il 20% dei latinoamericani si dichiarano evangelici contro il 3% di 60 anni fa – e stanno fornendo alle idee conservatrici e ai partiti politici della destra nuovo impulso e nuovi voti.

Il Brasile è un esempio eclatante dell’aumento del potere delle congregazioni protestanti.
Il gruppo parlamentare del Congresso – più di novanta membri evangelici – gli scorsi anni ha impedito proposte di leggi a favore della popolazione Lgbt e ha avuto un ruolo importante nella destituzione (golpista) dell’ex presidente del Partito dei lavoratori Dilma Roussef.

Il popolare vescovo evangelico Marcelo Crivella è stato eletto lo scorso anno sindaco di Rio de Janeiro, una delle città del mondo più tollerante con la comunità gay (ed è stato eletto domenica senatore battendo il candidato della sinistra). Il 26% dei voti ottenuti da Jair Bolsonaro sono di elettori evangelici che appoggiano il suo violento rifiuto di qualsiasi forma di diversità sessuale («Meglio un figlio morto in un incidente che gay»). Sono voti (circa dieci milioni) che non vengono dalle élites bianche, base del sostegno al candidato di estrema destra, ma in buona parte dagli strati più umili, compreso quel meticciato che Bolsonaro ha indicato come la feccia del Brasile.

«I successi delle chiese evangeliche brasiliane sono così ambiziosi che i vescovi evangelici di altri paesi vogliono imitare il “modello Brasile”», sostiene Javier Corrales, professore di Scienze politiche e coautore di “Dragon in The Tropics: The Legacy of Hugo Chávez in Venezuela”.
E lo stanno facendo, causando uno spostamento a destra della maggioranza delle comunità protestanti.

Da settimane a Cuba le chiese evangeliche si sono apertamente schierate contro un articolo del nuovo progetto di Costituzione perché prevede il matrimonio ugualitario, l’unione tra due persone e non tra uomo e donna. Dalle prese di posizione e dai comunicati – in concordanza con gran parte dell’episcopato cattolico – sono passate a organizzare manifestazioni in cui di fronte alle chiese protestanti sono sfilati bambini con cartelli che osannavano al «matrimonio naturale». Una forma di protesta che ha ben pochi precedenti nell’isola.

Negli anni scorsi, con l’aiuto di cattolici, gli evangelici hanno organizzato marce contro il movimento Lgbt in Colombia, Costa Rica, Repubblica dominicana, Perù e Messico. In Paraguay e Colombia hanno chiesto al ministero dell’Educazione che venissero messi al bando libri che fanno riferimento al sesso. Di più, in Colombia si sono mobilitati perché fosse rifiutato l’accordo di pace con le Farc, il maggior gruppo guerrigliero, con la motivazione che tale accordo prevedeva un incremento dei diritti delle femministe e della comunità Lgbt e quest’anno hanno contribuito all’elezione del presidente di destra (anche lui contrario all’accordo) Iván Duque.

L’aumento delle congregazioni evangeliche è politicamente inquietante perché esse stanno alimentando una nuova forma di populismo e stanno fornendo ai partiti conservatori dell’America latina un elettorato che non appartiene alle élites e che mai avevano avuto in precedenza.

Per questa ragione le formazioni conservatrici latinoamericane, storicamente alleate della Chiesa cattolica, si stanno riorientando verso i gruppi radicali evangelici. Questi, in sostanza, stanno cambiando il panorama politico del subcontinente man mano che riescono a convertire i partiti di destra in «partiti del popolo». Il che potrebbe essere un fatto positivo per una moderna democrazia, non fosse che questo sostegno, la gran maggioranza delle volte, si accompagna a posizioni intolleranti riguardo la sessualità e genera una polarizzazione culturale. «I pastori protestanti stanno reinventando l’inclusione intollerante, che costituisce la formula populista classica dell’America latina», sostiene Corrales.

L’alleanza dei pastori con i partiti politici non è però farina del sacco latinoamericano. Fa parte di una sorta di nuovo colonialismo degli Stati Uniti, dove la destra cristiana costituisce da decenni, dall’amministrazione Reagan, la base elettorale più solida del Partito repubblicano. Lo stesso Donald Trump – che ben poco ha a che fare con i valori biblici – ha basato la sua campagna su una piattaforma evangelica.

L’evangelismo latinoamericano ha la sua “base”cultural-religiosa – e spesso, sicuramente per Cuba, la sua fonte di finanziamento – negli Usa.
Secondo Javier Corrales, oltre a stabilire alleanze con i partiti, le congregazioni protestanti di origine nordamericana «hanno imparato a far la pace con il loro rivale storico, la Chiesa cattolica. Per lo meno per quanto riguarda la sessualità, i pastori e i sacerdoti hanno trovato un nuovo terreno comune…l’opposizione a quello che hanno battezzato come “ideologia di genere”.. Termine che si usa per etichettare qualsiasi sforzo per promuovere l’accettazione della diversità sessuale e di genere». Su queste basi, sostiene sempre lo studioso, «potremmo essere testimone di una storica tregua tra protestanti e cattolici nella regione».

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