La speranza dei minatori nel regno di Akhmetov
Reportage Molti simpatizzano con la Repubblica di Donetsk, altri sono contro la guerra imposta dall’alto
Reportage Molti simpatizzano con la Repubblica di Donetsk, altri sono contro la guerra imposta dall’alto
Nella regione del Donbass c’è un mondo silenzioso di lavoratori che sembra essere rimasto ai margini della rivolta separatista, ma che in realtà concepisce questo evento come l’unica speranza concreta di migliorare la propria condizione sociale e, soprattutto, di porre un freno allo strapotere degli oligarchi che nel corso degli ultimi vent’anni si sono spartiti il paese in piccoli e grandi feudi personali. Questo mondo sporco di grasso e di polvere di carbone è il mondo dei minatori e degli operai dell’industria metallurgica.
La riunione sindacale di una delle più importanti fabbriche di Donetsk, proprietà del potente e spietato uomo d’affari Rinat Akhmetov, non sembra essere la solita noiosa assemblea tenuta al chiuso di uno spazio ristretto, ma ha piuttosto l’aspetto di un incontro tra vecchi amici organizzato all’aperto negli immensi giardini alberati che circondano l’imponente edificio centrale.
Seduti attorno a lunghe tavolate i partecipanti si scambiano tra loro opinioni e cibo portato da casa accompagnando il tutto con un bicchiere di kvas e un robusto sorso di vodka. Vanno avanti così per molte ore parlando del più e del meno ma evitando con cura di affrontare argomenti potenzialmente pericolosi come se tra loro sospettassero la presenza di qualcuno mandato lì per controllarli e prendere nota dei nomi di eventuali agitatori.
La situazione cambia solo al calar della sera quando in molti abbandonano la riunione per tornare a casa, prima che entri in vigore il coprifuoco e alla luce dei lampioni rimangono pochi operai che da molti anni si conoscono e si fidano ciecamente l’uno dell’altro. D’un tratto le conversazioni si fanno più libere e tutte convergono su quello che è il vero motivo dell’incontro: mostrare o meno il proprio appoggio alla causa separatista. Molti simpatizzano per la Repubblica e la considerano un’opportunità irripetibile per far sentire la propria voce, molti sono stanchi di una guerra imposta dall’alto e che nessuno vuole combattere, tutti desiderano pace e tranquillità, tutti vogliono la certezza di un lavoro che oggi c’è ma domani non si sa.
E a chi non capisce le loro preoccupazioni Ljubomir, che più di dieci anni fa è stato scelto dai suoi compagni come rappresentante sindacale, racconta una storia particolare sulla Repubblica popolare di Donetsk, una storia in cui s’intrecciano interessi economici e ricatti politici operati da un boss senza scrupoli, disposto a ridurre in ginocchio una nazione pur di proteggere i propri affari.
«Fin da quando l’Ucraina è diventata indipendente la politica ha costituito lo strumento attraverso cui gli oligarchi hanno creato e difeso i propri imperi economici. Donetsk e il Donbass sono proprietà di Akhmetov e qui non accade nulla che non abbia ottenuto prima la sua approvazione. Per la Repubblica popolare è stato lo stesso.
Dopo Euromaidan Akhmetov ha finanziato il movimento separatista, e poi lo ha usato contro i suoi nemici nella capitale. Quando ha iniziato a temere che anche la Repubblica potesse rivoltarglisi contro l’ha abbandonata al suo destino e si è seduto al tavolo delle trattative per ottenere nuove e più favorevoli condizioni. Forse può darla a bere a quelli dell’Ovest con i suoi slogan e i suoi discorsi da campione dell’unità nazionale e del Donbass libero e lavoratore, ma io mi ricordo bene di quando i suoi tirapiedi ci ordinavano di scendere in piazza e manifestare insieme ai separatisti».
Qualche tempo fa un giovane si è rifiutato di salire sul pullman e partecipare allo sciopero indetto dai capi per il 21 maggio e quando nel pomeriggio si è presentato a lavoro gli hanno comunicato che era appena stato licenziato. Ogni tentativo per farlo riassumere è stato inutile e con la scusa degli scontri la vicenda è stata insabbiata e dimenticata. «Questa è la realtà in cui vivono i lavoratori nel regno di Rinat Akhmetov».
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