Il declino degli insetti impollinatori si manifesta in modo drammatico in tutto il mondo. La giornata mondiale delle api (domani 20 maggio) vuole ricordarci che la loro sopravvivenza ha a che fare con la nostra sopravvivenza. Le api sono le protagoniste di uno dei più importanti processi che avvengono in natura: l’impollinazione, un processo fondamentale per la sopravvivenza degli ecosistemi, per la conservazione della biodiversità, per la sicurezza alimentare. Spostandosi da un fiore all’altro per nutrirsi del nettare di cui hanno bisogno, le api trasportano il polline necessario per la riproduzione.

SECONDO LA FAO, 71 DELLE 100 COLTURE PIU’ IMPORTANTI a livello mondiale si riproducono grazie all’impollinazione e l’80% delle piante che nutrono l’uomo dipendono dall’attività delle api e di altri impollinatori (farfalle, coleotteri, pipistrelli, colibrì). Anche una elevata percentuale di piante selvatiche dipende dalle api. Si calcola che sul nostro pianeta le specie vegetali impollinate dalle api ammontino a 170 mila, consentendo di preservare la biodiversità e garantire l’equilibrio negli ecosistemi. Questo insetto è stato celebrato nel corso dei secoli per le sue caratteristiche e per il lavoro che svolge. Nella nostra visione antropocentrica è l’esempio di «animale mite e laborioso che dà senza chiedere nulla».

TUTTI SCHIERATI A PAROLE DALLA PARTE delle api. Ma le attività umane hanno stravolto il ciclo vitale di questo prezioso insetto. Soprattutto a partire dagli anni novanta si sono manifestati diffusi fenomeni di mortalità delle api e di spopolamento degli alveari che stanno assumendo dimensioni preoccupanti. Si calcola che negli ultimi 30 anni a livello globale la popolazione di alcune specie si sia ridotta del 40-50%. In Europa, secondo il Wwf, dall’inizio degli anni novanta si è perso il 70% degli insetti impollinatori. Non esiste una sola causa, ma un insieme di fattori che sommano i loro effetti: perdita di habitat, cambiamento d’uso dei suoli, affermazione delle monocolture, trattamenti fitosanitari, andamento climatico, malattie insorte negli alveari, modalità di allevamento. In particolare, le popolazioni di api mellifere e selvatiche subiscono i danni maggiori quando l’impiego di insetticidi e diserbanti avviene in primavera-estate, che coincide col periodo di massima attività degli impollinatori.

NUMEROSE RICERCHE HANNO DIMOSTRATO CHE IL TASSO di mortalità tra le api è correlato ai tipi di pesticidi e alle quantità impiegate nelle zone di attività degli insetti. La necessità di affrontare le minacce che incombono su questi insetti ha spinto gli studiosi ad analizzare il loro insediamento nelle diverse aree geografiche del pianeta. Grazie allo studio portato avanti da un gruppo di scienziati dell’Università di Singapore e dell’Accademia cinese delle scienze, pubblicato sulla rivista scientifica Current Biology, disponiamo da un paio d’anni della prima mappa mondiale della distribuzione delle api.

UTILIZZANDO I DATABASE DELLE SPECIE CONOSCIUTE e le osservazioni presenti su portali e archivi dei diversi paesi si è arrivati a stabilire che sono più di 20 mila le specie di api che vivono sul nostro pianeta, concentrate soprattutto nelle aree delle zone temperate con bassa vegetazione e pochi alberi. Gli studiosi hanno compreso che le api non seguono la regola del gradiente latitudinale della diversità della specie (distribuzione delle specie in base alla latitudine). Sono più presenti nell’emisfero Nord e la maggiore biodiversità si ha nei climi temperati, mentre negli ecosistemi tropicali la presenza e l’indice di biodiversità sono più ridotti.

NEGLI STATI UNITI SI TROVA IL MAGGIOR NUMERO di specie, mentre in Nord Africa, Medio Oriente e Asia centrale c’è un elevato numero di specie con caratteristiche ancora da definire. In diverse aree si registra la presenza di specie autoctone che non forniscono miele, ma sono molto importanti per l’equilibrio degli ecosistemi. Sono conoscenze che dovrebbero facilitare la messa a punto di strategie a tutela delle api.

UN ALTRO STUDIO PUBBLICATO NEL GENNAIO 2021 sulla rivista Global Change Biology ha analizzato come i cambiamenti climatici vanno a impattare sul ciclo vitale delle api del Nord America. Attraverso i dati raccolti dalla U.S. Geological Survey relativi a mille siti di monitoraggio si è visto che le specie attive nel periodo primaverile sono più sensibili alle forti precipitazioni, mentre per quelle attive nel periodo estivo il fattore più negativo è l’aumento della temperatura. Comportamenti anomali nelle api con sciamature continue e l’istinto ad abbandonare gli alveari si manifestano soprattutto in coincidenza delle ondate di calore. Per altre specie sono gli inverni miti a creare gravi squilibri nelle comunità. La conclusione degli studiosi americani è che per le api i cambiamenti climatici si stanno dimostrando più dannosi anche rispetto alla perdita di habitat.

LA QUESTIONE PESTICIDI E’ SEMPRE DRAMMATICAMENTE presente ogni qual volta si parla di api. Una ricerca francese condotta dall’Istituto nazionale di ricerca per l’agricoltura, l’alimentazione e l’ambiente, resa pubblica il 5 maggio di quest’anno e che ha visto il coinvolgimento di 46 ricercatori che hanno analizzato in due anni più di 4 mila studi, ha dimostrato che siamo di fronte ad una contaminazione generalizzata degli ecosistemi che rendono fragile la biodiversità. Il rapporto mette in evidenza che sono i pesticidi impiegati in agricoltura a contaminare suolo, aria, acqua, determinando una vera e propria devastazione dei viventi, con la scomparsa di migliaia di specie. Il declino degli insetti e degli altri impollinatori si colloca all’interno di questo processo.

SONO QUASI 300 LE SOSTANZE ATTIVE E PIU’ DI 1500 le preparazioni commerciali attualmente autorizzate in Europa e impiegate in agricoltura. Per le api il glifosato e i neonicotinoidi sono i principali imputati. Anche a basse dosi queste sostanze determinano una elevata mortalità e gli insetti che sopravvivono presentano una serie di effetti collaterali: perdita di orientamento, deficienza immunitaria, modifica della riproduzione e perdita di fertilità. L’intossicazione da pesticidi riduce la capacità di volare con la conseguente riduzione della raccolta del nettare e del processo di impollinazione.

LA BUONA NOTIZIA DI QUESTA PRIMAVERA E’ LA DECISIONE della Commissione europea di limitare l’uso del neonicotinoide Sulfoxaflor, approvato nel 2015. Considerato un prodotto «sicuro» e commercializzato come fitofarmaco di nuova generazione ha mostrato una elevata tossicità per gli impollinatori. Il Commissario europeo per la salute e la sicurezza alimentare nel commentare la decisione ha sostenuto che «la protezione degli impollinatori è di fondamentale importanza nell’ambito della strategia Farm to Fork e della strategia per la biodiversità». Il problema è che sono ancora una decina i neonicotinoidi impiegati in agricoltura e che le resistenze dei settori dell’agrobusiness impediscono di metterli al bando. Ma negli ultimi anni, quando si parla di api, c’è un ulteriore elemento che molti studiosi mettono in evidenza: l’impoverimento genetico delle popolazioni locali. Si tratta di sottospecie autoctone che si sono evolute e adattate a specifiche condizioni ambientali, con una elevata capacità di impollinazione delle piante presenti sul territorio. Le nuove tecniche di allevamento in apicoltura e l’uniformità delle specie allevate hanno penalizzato queste popolazioni locali.

LA NECESSITA’ DI CONSIDERARE LE API COME PARTE della fauna selvatica è stato ribadito nella Carta di San Michele all’Adige, un documento elaborato nel 2018 che sollecita le amministrazione pubbliche ad attuare misure di protezione delle sottospecie autoctone. L’Apis mellifera non può essere considerata una specie domestica destinata solo a produrre miele, anche se viene gestita da millenni dagli apicoltori. E’ più che mai necessario salvaguardare il suo ruolo nella conservazione della biodiversità e nelle produzioni agricole.