La guerra in Ucraina ha messo in evidenza la fragilità del sistema alimentare europeo. Una fragilità strutturale che si nascondeva dietro le lunghe filiere del commercio globale. E’ bastata una smagliatura nella fitta trama della geopolitica per mettere a nudo scomode interdipendenze economiche e potenziali strumenti di indebite pressioni politiche. Reclamare il diritto alla sovranità alimentare, all’autosufficienza agricola, all’economia circolare, alla resilienza, alla diversificazione delle colture e alla rigenerazione dei suoli non è mai stato un esercizio retorico fine a se stesso ma piuttosto una visione olistica di lungo periodo.

OGGI, LA GUERRA IN UCRAINA PONE L’EUROPA E L’ITALIA di fronte a seri rischi nell’immediato ma anche a una serie di domande dalle cui risposte è necessario partire per uscire dalla crisi. L’economia di guerra, che da più parti si continua ad evocare, porta con sé un’opportunità epocale: quella di riorientare i nostri sistemi produttivi in un’ottica di transizione agroecologica, di sostenibilità ed equità. Nel caso del nostro paese, non sarà sufficiente affermare di voler mettere a coltura nuovi terreni fino a qui inutilizzati. Sarà necessario discutere le modalità e le finalità affinché quella che si presenta come un’opportunità per tutti, produttori, consumatori e ambiente, non diventi, ancora una volta, una mera occasione di speculazione per pochi.

L’INNOVAZIONE IN TEMPI DI GUERRA POTREBBE rappresentare la strategia migliore per apportare quei cambiamenti su cui la lobby industriale continua a frenare da tempo. A pensarla così sono sempre più operatori del settore che stanno elaborando proposte in linea con le recenti indicazioni della Commissione europea che ha raccomandato di rafforzare la resilienza e la sostenibilità dei nostri sistemi alimentari. Mettere a coltura le aree di interesse ecologico può rappresentare una soluzione che non può, però, basarsi sul modello dei vecchi apparati produttivi caratterizzati da input esterni costosi e sempre meno reperibili. Al contrario, come sostenuto da Maria Grazia Mammuccini, presidente di Federbio, il Piano d’azione nazionale dovrebbe puntare con decisione alla conversione al biologico. Una strategia che valorizzerebbe le produzioni locali ecologiche e ridurrebbe l’utilizzo di diserbanti, fertilizzanti e pesticidi. La rigenerazione dei suoli garantirebbe inoltre rese colturali «comparabili se non addirittura superiori a quelle dell’agricoltura convenzionale».

UN DIBATTITO APERTO A CUI SI AGGIUNGONO le proposte dei biodinamici che annunciano il lancio di un tour dal nome significativo: Progettiamo il futuro. Si tratta di un programma di incontri di studio e progettazione su tutto il territorio italiano per definire come il know how delle aziende biodinamiche possa contribuire nel migliore dei modi all’obiettivo dell’autosufficienza alimentare del paese. Le performance dell’agricoltura biodinamica sono note da tempo e fanno di questo comparto una delle eccellenze del made in Italy riconosciuto a livello internazionale. Un modello dal bassissimo impatto ambientale capace di offrire ottime rendite produttive, sia in termini di quantità che di qualità, e di contribuire efficacemente ad un altra crisi purtroppo molto attuale, quella dei cambiamenti climatici.

NON E’ UN CASO CHE, NELLA CONFERENZA di presentazione del tour, tenutasi presso l’associazione della stampa estera Italia a Roma, l’associazione Biodinamica abbia portato l’esperienza diretta di aziende agricole del territorio laziale. Agricoltura Nuova, Agrilatina e Biolatina sono realtà che hanno sperimentato negli anni l’efficienza del metodo biodinamico, restituendo benefici ai territori, ai consumatori e ai lavoratori. Un contro-modello sostenibile che si contrappone al paradigma industriale caratterizzato da una fortissima dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento di concimi sintetici, mangimi, grano, legumi, latte e diversi prodotti di primaria importanza. Ma i nodi vengono immediatamente al pettine quando questo sistema è messo sotto stress. La guerra in Ucraina ha innescato un aumento dei prezzi che ha colpito duramente il settore agricolo. Il prezzo del gasolio è aumentato fino al 40%, quello dei concimi di sintesi fino al 180%, con il costo dei pesticidi che, in alcuni casi, è triplicato.

LA CRISI INTERNAZIONALE HA RESO improvvisamente macroscopiche le contraddizioni del sistema dell’agricoltura industriale: «Gli input per sostenere il modello produttivo consumista – ha spiegato Carlo Triarico, presidente dell’associazione Biodinamica – hanno raggiunto prezzi insostenibili con un trend che ha ripreso a crescere già dal 2021. L’approccio ad alto input è una variabile incontrollabile, non permette a molti di continuare a coltivare e rischia di non garantire più i fabbisogni alimentari».

L’ESPERIENZA DELLA BIODINAMICA PUO’ RISULTARE dunque preziosa perché dimostra come sia possibile ridurre la dipendenza dagli input esterni migliorando la qualità, riducendo gli sprechi e aumentando la produttività grazie alla sua capacità di poter lavorare anche su terreni degradati. «La biodinamica – rileva ancora Triarico – offre una via sostenibile, basata sull’economia circolare, le filiere corte e organiche. È un metodo agroecologico caratterizzato da bassa intensità energetica in grado di ripristinare terreni asfittici restituendo loro la fertilità, di incrementare la biodiversità agraria e naturale, di migliorare ambiente e alimentazione, di favorire il benessere animale e di coltivare anche aree marginali e aride, portandole alla produttività. Tutto questo è alla base della autosufficienza alimentare italiana ed europea».

UNA POSSIBILITA’ REALE ANCHE SECONDO Raffaella Pergamo, ricercatrice del centro di Politiche e Bioeconomia del Crea: «La transizione agricola che ci attende – spiega la ricercatrice – è verso un’economia generativa e circolare, in cui si garantiscono ecosistemi e comunità verdi. Molto di quanto descritto si ritrova già nell’approccio biodinamico che, al pari del biologico, rientra nel filone dell’agro-sostenibilità e rispecchia molto quell’ecologia integrale richiamata dall’enciclica papale, di interconnessioni tra uomo e natura».

LA TRANSIZIONE ECOLOGICA NON PUO’, d’altra parte, avvenire con la stessa forma mentis del riduzionismo meccanicistico che ci ha portato sull’orlo del collasso ecologico. La biodinamica sembra, da questo punto di vista, poter offrire un approccio olistico, più attento alle necessità della terra e di tutte le forme viventi che la abitano. «La biodinamica – ha concluso Nadia El-Hage Scialabba ecologa, già senior officer Fao per l’agricoltura biologica – cerca la saggezza olistica dalle culture indigene, rispetta gli insegnamenti genuini della scienza atomistica e le completa con ciò che può scaturire dalla concezione vivente dell’universo. Riconcilia materia e spirito, natura e cultura, e tradizione e progresso».