Cultura

La sorveglianza del testo, tra finzione e realtà

La sorveglianza del testo, tra finzione e realtàRiccardo Scrivano legge Leopardi

Ricordi La scomparsa di Riccardo Scrivano, storico e critico della letteratura, attento studioso del Cinquecento e delle forme narrative teatrali, da Ariosto a Pirandello

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 11 febbraio 2020

Ligure, di Alassio, dove era nato nel 1928, Riccardo Scrivano, storico e critico della letteratura italiana, è scomparso sabato scorso a Roma. Aveva insegnato nelle università di Padova e presso due atenei romani, La Sapienza e Tor Vergata. Come altri della sua generazione è stato un generalista, ovvero un tipo di studioso capace di non lasciarsi impigliare nello specialismo: ma, più dello specialista, agguerrito negli studi particolari. Nei suoi scritti ha toccato tutti i secoli della letteratura italiana, da Dante a Montale. Così si intitolava il suo corso dell’anno 1977-1978, quando, matricola, ne ascoltai le lezioni, che mi parvero soprattutto un invito alla libertà di giudizio, con letture toccanti da Montale (L’Arno a Rovezzano, indimenticabile, e tutta Satura…).

Laureatosi a Genova nel 1951 con una tesi su «Leopardi idillico» e da lì cresciuto alla scuola di Walter Binni, dopo un periodo di insegnamento negli istituti superiori Scrivano aveva iniziato la carriera universitaria a Firenze. Del 1959 è il suo primo libro, innovativo e rimasto a lungo di riferimento, Il manierismo nella letteratura italiana del Cinquecento. Dalla collaborazione con testate come «Il Ponte», «La rassegna della Letteratura italiana» e altre ancora nacque Riviste, scrittori e critici del Novecento, 1965. Alla cultura letteraria novecentesca, frequentata negli anni di prima maturità anche come critico militante, mai sottrasse né il suo tempo né la sua curiosità. Da allora in poi si sono susseguiti numerosi titoli nei suoi campi di interesse prediletti, con una virata metodologica verso la metà degli anni Settanta, quando dalla concezione di poetica di Binni si avvicinò alle suggestioni strutturalistiche e semiologiche, e soprattutto della nuova retorica – applicata specialmente nella lettura della Commedia dantesca – frequentando le quali non smarrì la sorveglianza che gli arrivava da un sicuro senso storico.
Il suo campo di indagine prevalente fu il Cinquecento minore, come si intitolava un suo celebrato saggio antologico e come è evidente dagli studi raccolti in Cultura e letteratura del Cinquecento, 1966; La norma e lo scarto, 1980; Il modello e l’esecuzione, 1993; ma anche il Cinquecento maggiore, con notevoli studi su Tasso, che celebrò nel quarto centenario della scomparsa in Sant’Onofrio al Gianicolo, dove l’autore della Liberata morì.
Oltre il Cinquecento, molte altre le direzioni percorse. Per prima l’attenzione alla letteratura teatrale, da Ariosto a Pirandello, alla ricerca della specificità del testo teatrale, finzione per eccellenza, come recita fin dal titolo Finzioni teatrali del 1982. Medesima intensità di interesse dedicò alle forme narrative da Manzoni a Verga a Svevo e alla Vocazione contesa (1987) di Pirandello tra romanzo, novella e teatro. Altra per niente minore direzione il rapporto tra biografia, autobiografia e letteratura, osservato a partire da Alfieri, ma anche in Vico, in Goldoni e, andando indietro, in Cellini, Petrarca, Dante.
Notevole attenzione dedicò alla riscoperta dell’Adone di Marino, quando le edizioni di Giovanni Pozzi e di Marzio Pieri (anche lui scomparso di recente) presentarono il poema finalmente restaurato. Lo ricordo preso da un tale entusiasmo per quel capolavoro a lungo mal letto da contagiare i suoi allievi che da quel secondo anno si preparavano a passare al terzo, al corso sull’autobiografia, proprio. Nell’aula al secondo piano della Facoltà di Lettere della Sapienza, quelle lezioni consistevano in continue aperture interpretative, ricche di novità e piene di fervore, sempre un po’ contro il metodo, per citare il Feyerabend che allora non di rado gli capitava nel discorso.
Il corso sull’autobiografia fu coronato da un intervento di Jean Starobinski, autore di quel Patto autobiografico che circolava tra i banchi. Era l’università dei piani di studio liberi, degli esami triennali e di decine di seminari: un fervore che era forse un punto di resistenza al clima di piombo. Cosa anche allora piuttosto rara, Scrivano creò una classe. Ci si incontrava alle sue lezioni come a un appuntamento uscendo dal quale si sapeva che qualcosa sarebbe cambiato. Anni prima di quegli incontri aveva avuto una militanza politica laica e antitotalitaria. Di quella stagione gli era rimasta dentro la pratica di libertà che, l’ho detto, seppe trasmetterci. Aggiungo che mai lo disse: la praticava, e bastava perché arrivasse a noi che gli stavamo di fronte.
Qualche anno dopo, tra le varie iniziative nelle quali mi coinvolse, un’antologia scolastica che, nella mutevolezza delle didattiche, non ebbe molta fortuna commerciale. Riccardo Scrivano la intitolò Letteratura e conoscenza: non era solo un titolo, era la sua sigla di uomo battagliero – dal carattere non facile – e di studioso allo stesso tempo antico e nuovo.

 

Per chi volesse salutare Riccardo Scrivano, la cerimonia sarà oggi, ore 15, presso il Tempietto Egizio del Verano

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