Visioni

La solitudine non solo pop di Suzanne Vega

Suzanne Vega live nel 2008Suzanne Vega live nel 2008 – foto Ansa

(Rin) tocco classico Per capire e apprezzare oggi "Solitude Standing" è necessario fare un piccolo sforzo: bisogna superare il fatto che è un album che suona anni ’80 in modo quasi eccessivo

Pubblicato 4 mesi faEdizione del 10 luglio 2024

Per capire e apprezzare oggi Solitude Standing di Suzanne Vega è necessario fare un piccolo sforzo: bisogna superare il fatto che è un album che suona anni ’80 in modo quasi eccessivo.

Una volta compreso e accettato questo fatto, si rivela essere una miniera di ottimi pezzi, che mostrano che Vega, al suo secondo LP dopo l’omonimo disco del 1985, viveva un momento di ispirazione cristallina.

C’è da dire che è un esercizio che va fatto oggi, visto che il suono di quest’album era al passo con i tempi nel 1987, quando arrivò al numero undici negli Stati uniti, al due in Inghilterra e al primo posto in Svezia e in Nuova Zelanda, vendendo cinque milioni di copie.

I suoni squillanti e sospesi della produzione di Steve Addabbo e Lenny Kaye (il chitarrista del Patti Smith Group) vestono in modo pop le composizioni folk di Vega e le rendono per molti versi più accessibili al grande pubblico, che infatti premiò questa scelta.

Il traino principale fu Luka, uno dei più classici esempi di fraintendimento musicale: è una canzone che racconta una storia di violenza domestica su un bambino travestita da pezzo pop radiofonico. L’arrangiamento contribuì al suo successo, ma nasconde il vero significato a un ascoltatore superficiale.

Oltre a Luka, Solitude Standing può vantare altri ottimi pezzi, come Gypsy, dolcissima ninnananna (anche questa vestita da pezzo pop) che Vega scrisse a 18 anni per un suo amore di gioventù, o come la title track, che è dominata da un’atmosfera oscura e oppressiva, o come le poetiche Calypso, che racconta la storia del personaggio dell’Odissea dal punto di vista della donna, o come Night Vision, che prende ispirazione dalla poesia Juan Gris di Paul Éluard.

Tom’s Diner, la traccia di apertura del disco, merita un discorso a parte: il pezzo è cantato a cappella ed è una piccola storia quotidiana di New York. Nel 1990 venne remixato in chiave dance dagli inglesi DNA diventando un successo internazionale e negli anni ha prodotto centinaia di cover e reinterpretazioni.

È anche – forse soprattutto – la canzone usata per elaborare il sistema di compressione audio MP3, dando di fatto inizio alla rivoluzione digitale della musica. Mantenere intatta la delicatezza della voce di Vega nel processo di digitalizzazione era un ottimo modo per verificare la validità del formato.

danielefunaro75@gmail.com

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