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La solitudine dei numeri ultimi

La solitudine dei numeri ultimi

Sul posto di lavoro Quadrini è morto da solo, appeso a una corda nel magazzino in cui lavorava da anni, ma i media tacciono. Se resterà loro il monopolio dell’attenzione sui «numeri ultimi» malati di solitudine, non ci si stupisca quando l’onda di barbarie che avvertiamo crescerà

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 2 aprile 2017

È morto così Claudio Quadrini, sul posto di lavoro. Di un lavoro fattosi per lui così greve da essere insostenibile, per la vita. Claudio Quadrini Aveva 51 anni, una moglie che lavora nella stessa impresa, due figli ancora adolescenti.

La notizia è di per sé atroce. Ma diventa tanto più significativa per la quantità di elementi che vi convergono, vera e propria sintesi del nostro (cattivo) tempo.

Quadrini è morto da solo, appeso a una corda nel magazzino in cui lavorava da anni, tormentato da un carico (più psicologico che fisico) cresciuto fino a diventare insopportabile dopo che la fabbrica – la Rosati di Leinì, un’impresa storica, famigliare, attiva da 80 anni – era stata acquistata da un gruppo tedesco che l’aveva ristrutturata al modo di oggi: ridistribuendo la fatica, le mansioni (e le responsabilità) in funzione della produttività.

Si dice che soffrisse di pressione alta, forse anche di depressione, ma quello che l’ha ucciso è l’ansia del lavoro: quello da cui dipendeva la sua esistenza e che invece era diventato tanto ingombrante, impegnativo, perturbante – insostenibile, appunto – da provocare una ferita dentro. E far preferire quell’uscita solitaria a una sopravvivenza umiliata.

Che nell’Italia del 2017 si possa morire al lavoro, non solo d’incidente sul lavoro che è un evento in qualche modo eccezionale, ma di lavoro «normale», normalmente ristrutturato e normalmente destabilizzato, è notizia che meriterebbe un posto in un universo mediatico solitamente vorace fino all’isterismo. Invece niente. Venerdì, quando la cosa mi è stata riportata per telefono, ho acceso subito la radio.

La prima notizia del Gr era l’iscrizione nell’albo degli indagati di Grillo e Di Battista per querela di parte (una non notizia). La seconda, più breve, Trump e i suoi dazi, seguita da un lungo speach sulla «giornata di lotta dei media contro la falsa informazione e le bufale» (sic!). Di quel fatto, nulla. Come sulle pagine nazionali dei grandi quotidiani di sabato.

Anche qui colonne e colonne su Grillo e Dibba, un po’ di Trump, molto anche sui capelli tagliati della ragazzina di Bologna (le prime due intere pagine del Corriere della sera addirittura), ma su quella morte operaia zero. Come non fosse avvenuta.

Le dedicava invece l’apertura di prima pagina e un lungo pezzo con fotografia in seconda Torino Cronaca qui, uno di quei tabloid da 50 cent. (l’equivalente della “penny press” americana, quella che ha fatto la fortuna di Trump in polemica con la titolata “East coast press” clintoniana), che di solito spara a zero sugli zingari e sui migranti islamici, contribuendo a intossicare i sentimenti «popolari».

Se resterà loro il monopolio dell’attenzione sui «numeri ultimi» malati di solitudine, non ci si stupisca quando l’onda di barbarie, stupidità e ferocia che avvertiamo intorno a noi crescerà, irresistibile.

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