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La Sirena torna a cantare

La Sirena torna a cantareI poster pubblicitari di Cyop & Kaf per Auditorium Novecento Napoli, la casa delle produzioni musicali contemporanee con l’intento di proteggere lo storico patrimonio della Phonotype Record e lanciare nuove produzioni

La prima etichetta discografica italiana, la Phonotype di Napoli, rinasce grazie alla passione di alcuni professionisti e tecnici del settore

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 7 aprile 2018

Dietro il portone di vetro e ferro battuto, al numero 4 di via Enrico De Marinis, zona universitaria di Mezzocannone, c’è uno dei luoghi fantastici della cultura napoletana, un tempio della musica, uno di quelli dove sono passate le voci più belle e più famose di un secolo e oltre. Purtroppo l’approdo preferito delle sirene partenopee, la prima casa discografica napoletana (e italiana), la Phonotype Record, quella che ha in catalogo Caruso e Pasquariello, Bruni e D’Angelo, ha attraversato recentemente anni difficili dovuti alle traversie della famiglia Esposito (che ha partecipato anche al film Passione di John Turturro). Oggi si apre un nuovo capitolo, l’ultimo superstite, Fernando Esposito, ha stretto un accordo con un gruppo di sei persone, tutti giovani professionisti e tecnici del settore (Fabrizio Piccolo, Daniele Chessa, Paolo De Rosa, Gianni Ruggiero, Paolo Nappi, Francesco Sabatini) riuniti nella sigla Museum, che hanno deciso «di investire energie, passioni e competenze perché nulla vada perduto, perché questi luoghi possano essere oggi, e ancora per lungo tempo, il luogo della musica». Parte così Auditorium Novecento Napoli, la casa delle produzioni musicali contemporanee con l’intento di proteggere lo storico patrimonio della Phonotype Record (che ha ceduto gran parte del catalogo editoriale alla casa discografica La Canzonetta) e rilanciare nuove produzioni. Primo passo, riportare all’antico splendore la grande sale d’incisione, ripulire e riattrezzare gli spazi, logorati da anni di abbandono (e non ultimo dall’alluvione del 6 novembre 2017) e realizzare una sala di formazione per seminari/masterclass per voci e strumenti e corsi di pre/post-produzione. Allo stesso tempo stimolare, con la digitalizzazione e l’Archivio dei suoni, gli artisti a reinventare con sample e beat la canzone classica napoletana per penetrare il mercato a livello globale, con il progetto Neapolitan Classic Beat Making e altri a venire. E promuovere la musica in tutte le sue forme ed espressioni, incentivare e sostenere le nuove generazioni alle produzioni artistiche, coadiuvare gli autori, i compositori, gli arrangiatori, registrare nuovi dischi poi organizzando, in questi spazi, concerti di artisti contemporanei, godendo e facendo godere i fruitori di un’acustica unica, lodata universalmente.

FUNDRAISING
Perciò è stata avviata una campagna di fundraising (che punta a raccogliere 50 mila euro sulla piattaforma www.produzionidalbasso.com) ma anche a recuperare la memoria storica di questo luogo incantato, profondamente trasformato in quasi 120 anni di storia. La fondò Raffaele Esposito detto Rafele ‘o Fruntino, classe 1865. Nella sua bottega in via Sant’Anna dei Lombardi aveva fatto briglie, selle, fruste: le migliori di Napoli, usate per i cavalli dei Savoia. Lo fecero cavaliere, divenne ricco. Gli piaceva la lirica e fu tra i primi a comprare un grammofono a cilindro. Alle feste invitava i cantanti del San Carlo e azionava l’apparecchio. All’inizio tenori e soprani furono scettici, poi arrivò la voce del successo di uno strano aggeggio rotondo chiamato disco. Gli dissero: Don Rafè, perché non li fabbricate voi? Il capostipite degli Esposito era un uomo d’altri tempi, dinamico e intraprendente, e ascoltò il consiglio. Prese una stalla – in via De Marinis, appunto -, la ripulì e la riempì di macchinari avanzati. La Società Fonografica Napoletana nacque nel 1901. La chiamavano La Sirena, per la donna sul marchio. All’inizio le canzoni venivano incise su piatti di cera e poi stampate sui dischi in Germania. All’epoca i motivi famosi venivano diffusi attraverso i cafè-chantant, i posteggiatori nei ristoranti e i pianini nelle strade. Dapprima in maniera artigianale si cominciarono a stampare dischi, sotto il Vesuvio, la prova è in telegrammi ingialliti indirizzati a «Esposito-Fonografi-Napoli». L’anno dopo Caruso cantò nell’imbuto di latta, in un albergo di Milano, e fece decollare il disco. Nel 1911 la Società Fonografica cambiò nome, avviò una produzione industriale e diventò Phonotype Record. Già il catalogo era ricco. L’aveva inaugurato Nicola Maldacea con le sue macchiette. Seguirono Gennaro Pasquariello (1909) ed Elvira Donnarumma (1910). I loro contratti, incorniciati, sono appesi alle pareti insieme a lettere, autografi e dischi rari in queste grandi stanze dove si arriva scendendo una lunga scala (e dove i fratelli Esposito t’accoglievano con estrema gentilezza, inanellando aneddoti e tazzine di caffè).

GENERAZIONI
Ci sono stati poi altre generazioni di Esposito dapprima Americo, figlio del fondatore, aiutato dai fratelli Luigi e Vincenzo. In quelle stanze incisero tutti i grandi della lirica e della canzone, da Parisi a Papaccio a Gilda Mignonette. Nel 1925 l’incisione elettrica sostituì quella meccanica e il microfono prese il posto dell’imbuto. Vennero prodotti pure grammofoni griffati Toreador e Fonodart. Poi l’economia della musica diventò globale, s’impadronirono del mercato le multinazionali tipo Voce del Padrone e Pathè. Perfino la Napoli delle sette note tornò periferia dell’impero economico. Scoppiata la guerra, il fascismo ordinò di donare rame alla patria. Il vegliardo e il figlio Americo ebbero la magnifica idea di disobbedire. Nottetempo presero le matrici di rame delle incisioni più importanti e le nascosero in una stanzetta ricavata sotto il giardino di via De Marinis. Commisero un solo errore: non lo dissero neppure ai figli. Nel 1961, durante lavori di ammodernamento, furono i fratelli della terza generazione a scoprire un tesoro che ha dato frutti fino ad oggi.
Negli anni Ottanta i fratelli Esposito puntarono sul vinile e sulle audiocassette, puntando anche al mercato delle feste di piazza e registrando molte voci del folklore meridionale. E intanto firmavano contratti con Sergio Bruni, Mario Abbate, Roberto Murolo, Angela Luce, Mario Merola ma anche coi più giovani Pino Mauro, Domenico Modugno, Eugenio Bennato, Claudio Baglioni, Carlo d’Angiò, Enzo Gragnaniello, Nino D’Angelo, Peppino di Capri. Nei loro archivi ci sono tanti gioielli che hanno dato vita a una fortunata collana di incisioni storiche e un’Antologia della canzone napoletana in 48 cd. Adesso è rimasto solo Fernando, 88 anni, l’ultimo degli Esposito, che ha cominciato a frequentare queste stanze quando era adolescente, ereditando dalla famiglia l’amore per la musica e l’abilità nel fare dischi. «Ormai posso dire di vivere qui da oltre 74 anni – dice Fernando Esposito -. Eppure, passeggiare tra queste stanze mi procura ancora la stessa sensazione di riverenza. È bellissimo questo auditorium, come se fosse una chiesa. C’è una specie di sacralità, lasciata dall’aura dei grandi artisti che vi lavorarono».Torniamo ad Auditorium Novecento Napoli, un investimento di risorse e passione, un jukebox in continua formazione, che vuole coagulare intelligenze diverse per regalare emozioni passate e future. Così la cantante Flo ha registrato qui il suo terzo disco e altre possibilità di registrare nell’Auditorium sono state offerte ad altri musicisti e allo stesso tempo si è cercato di promuovere un forte senso di appartenenza, offrendo merchandising, dai cd alle t-shirt, e forme di fidelizzazione per gli appassionati spettatori. Sul sito ci sono le dichiarazioni di sostegno del maestro Peppe Vessicchio e di Eugenio Bennato che proprio qui aveva registrato il suo album. Primi passi di una storia che continua a produrre meraviglie.

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