Di Norberto Bobbio ho un ricordo personale, in quanto torinese, nato a metà degli anni Sessanta, quindi molto tempo dopo di lui. Lo rammento quando, con passo incerto e faticoso, attraversava via Verdi, sede del Rettorato. Si trattava di un breve percorso viario, allora sede di infiniti cantieri. Lui, con la schiena china e il capo proteso verso l’orizzonte, procedeva verso le sue mete. In genere portava, un po’ faticosamente con sé una borsa di pelle ed io mi chiedevo quale fosse il tesoro che si trascinava appresso. All’epoca, eravamo perlopiù alla fine degli anni Ottanta, si era aperta una sorta di conflitto su chi, nell’Ateneo torinese, potesse attribuirsi il «distintivo» di esegeta e prosecutore. Qualcosa che già, al tempo, mi sembrava una miscela di bazzecole, bagatelle, quisquilie e pinzillacchere. Il tutto, ad oggi, mi pare invece quasi una sorta di simbolica rappresentazione – ossia un’allegoria – di ciò che allora, e poi ancora di più dopo, ovvero in anni di transizione e mutamento, avremmo poi ancora maggiormente subito. Un transito dal tempo della coscienza dolente, quella che si origina dal confronto con i dati di fatto e nei rapporti di forza, a quello dell’inconsapevolezza compiaciuta, che invece si rigenera dall’anestetizzarsi rispetto al tempo corrente.

SAREBBE DA INGENEROSI ascrivere la fortuna di Norberto Bobbio solo ai suoi ultimi due decenni di vita, quando dall’abituale attività accademica, in sé intensissima, affiancò e si impegnò in quella politica e, soprattutto, civile. Acquisendo una dimensione pubblica che, egli medesimo, evidentemente, viveva come urgente, non tanto per se stesso bensì per una società di cui coglieva i mutamenti e, soprattutto, le potenziali degenerazioni. Di certo, tuttavia, le opere di questo intellettuale novecentesco di primaria grandezza europea, proprio negli anni della sua rivendicata anzianità, trovarono una maggiore considerazione di pubblico al di fuori dei più ristretti ambienti universitari. Anche se egli era già molto conosciuto. Qualora un merito peculiare gli vada attribuito, questo consiste soprattutto nell’avere dato corpo, insieme ad altri studiosi, a quella complessa, poiché ibrida, disciplina che è conosciuta come «scienza politica». Ciò gli derivava dalle molte esperienze di formazione, studio e docenza ma soprattutto dal timbro consegnatogli da due tra i suoi fondamentali maestri, Gioele Solari e Luigi Einaudi. La convergenza della filosofia, del diritto e dell’economia politica, costituisce quella saldatura di saperi che in Bobbio interloquiscono costantemente.

Non è quindi un caso, se nel trentennale, venga ristampato un suo testo che, a tutt’oggi, viene citato come opera imprescindibile nella formazione culturale democratica. Si tratta di Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica (Donzelli, pp. 203, euro 16). La fortuna di un tale volumetto (il diminutivo, in questo caso, ha un valore elogiativo, valorizzando la capacità di sintesi, insieme al rigore espositivo), fu quasi da subito straordinaria. Da molti venne inteso al pari di un vademecum, una griglia teoretica che si attagliava immediatamente alle domande della politica e, soprattutto, di una società, che si stavano trasformando con una repentinità e una radicalità fino ad allora invece mai viste. La potenza del testo, infatti, riposa nella consapevolezza trasfusa dall’autore in poche e cristalline pagine, per la quale non si dà libertà alcuna senza giustizia sociale. Al nocciolo del suo argomentare c’è soprattutto la cognizione del declino della funzione redistributiva degli Stati.

NEGLI ANNI NOVANTA era ancora un orizzonte possibile. Non l’unico. Oggi, invece, è un riscontro ineludibile. Nel suo complesso l’edizione che esce ora del volume di Bobbio costituisce, al netto della riproposizione della sue considerazioni, una revisione critica degli approcci con il quale è stato accolto dai tanti. La densa introduzione di Nadia Urbinati contestualizza e storicizza quello che, oramai, è divenuto un classico dell’analisi politologica. Non di meno, ci rafforza nella sensazione di uno spiazzamento che, negli anni che stiamo vivendo, è subentrato un po’ ovunque. Se per Bobbio una discriminante fondamentale era il conflitto politico, senza il quale non si dà nessuna democrazia, al tempo corrente l’orizzonte problematico è costituito dalle condizioni di sopravvivenza di una democrazia liberale. In altre parole, nei trent’anni dalla prima uscita del testo, le condizioni dell’agire, non solo politico ma anche civile – e quindi pubblico – si sono così rarefatte da domandarci se ancora sussisteranno le possibilità per un libero esercizio del pensiero critico. Anche per questo, forse, quello che si può oggi consigliare è perlopiù una lettura generazionale, calibrata sulle emergenze del tempo corrente.

QUANDO IL LIBRO di Bobbio uscì, raccogliendo ben presto una straordinaria diffusione, si coglieva lo scricchiolio delle fondamenta del patto costituzionale del 1945-48 e degli equilibri che da esso erano derivati. Si trattava del tramonto di un tempo, generatosi dalla fine della Seconda guerra mondiale. L’urgenza dell’autore era quindi dettata anche da una tale consapevolezza, cercando in qualche modo di chiarire, ancora una volta, non solo la natura delle discriminanti di principio, quelle per cui ci si definisce, per l’appunto, di «destra o di sinistra», ma anche – e soprattutto – la necessità di non derogare da esse. Oggi, al netto di qualsivoglia considerazione che nel mentre può essere subentrata, il vero terreno di scontro è invece quello che si dà tra «destre plurali» (tali poiché nazionaliste, liberiste, tradizionaliste, populiste, sovraniste e identitarie, quindi capaci di sommare in sé tratti anche molto diversi, ma unificati dal rigetto delle procedure e delle garanzie costituzionali) e un asfittico liberalismo, pallido e incerto, che esangue rincorre il campo dell’avversario. In altre parole, siamo retrocessi di molto dalle coordinate di indagine e intervento dei tempi in cui l’autore redigeva le sue note critiche.

Cosa ci consegna, quindi, ad oggi, nel suo trentennale, il testo di Norberto Bobbio? Molte impressioni, tante sensazioni ma anche, e soprattutto, diverse idee. Tra queste, si trova la sua attualità. Non si tratta di celebrare, a prescindere, un campione del liberalismo sociale quale egli rimarrà per sempre. Questo è il suo vero suggello, malgrado i molti, troppo interessati, esegeti, interpreti, figliocci e nipotini. Semmai la questione è di contestualizzare l’attualità del suo concreto pensiero. Il quale non è mai un solo viatico per le individualità bensì comprensione del fatto che nessuna libertà soggettiva può avere corso se non si confronta con la necessità di collocarsi all’interno di una rete di relazioni.

BOBBIO CI RAMMENTA un’ovvietà, che invece spesso dimentichiamo: non esiste identità, per i singoli, se ad essa non si riconnettono risorse e opportunità. Se ciò non dovesse essere fatto dai liberal-socialisti, ossia dai «democratici», ci ammoniva Bobbio, allora se ne incaricheranno le forze della regressione, quelle che si adopereranno in un tale obiettivo per consegnare gli individui all’omologazione, all’uniformità, al grigiore del conformismo più becero. Nel nostro Paese, come in Europa, esiste un precedente, il fascismo storico, che non è un accadimento accidentale del passato ma il transito da un liberalismo incerto e asociale all’organizzazione di una società di massa. Norberto Bobbio, in Italia, rimane quindi colui che più, e meglio, ha compreso come nell’età delle collettività il raccordo tra il liberalismo individuale e la domanda di rappresentanza comune debba giocarsi sul piano della giustizia collettiva, tale poiché redistributiva. Il suo oggetto, solo in parte esplicitato, è la fisionomia, il disegno, i confini di una democrazia inclusiva. Poiché ciò che ci consegna, al netto dei molti, se non troppi, interessati interpreti, è semmai la domanda, inesauribile, su cosa possa divenire una democrazia dove la dimensione pubblica, quello dello Stato, non risolve definitivamente in sé la sfera del privato, ovvero delle soggettività, quindi del diritto ad essere ciò che si intende divenire. Bobbio non ha dato, a tale riguardo, risposte definitive ma ci ha aiutato a formulare, con il giusto lessico, l’opportuna sintassi, le domande che ci appartengono. Il resto, beninteso, spetta a noi.