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La sinistra Pd incolla i cocci: «Si può incidere solo uniti»

La sinistra Pd incolla i cocci: «Si può incidere solo uniti»Stafano Fassina e Gianni Cuperlo all'assemblea di Sinistradem – Foto Simona Granati

Democrack All’assemblea di Cuperlo la carica anti jobs act (fuori tempo massimo). A marzo assemblea delle minoranze. «Renzi ha umiliato i parlamentari». Anche Boldrini: il governo ascolti le camere»

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 22 febbraio 2015

L’occasione dell’autocoscienza della sinistra Pd, all’indomani dell’approvazione dei decreti del jobs act, la dà l’assemblea dell’associazione di Gianni Cuperlo, Sinistradem, una delle tante sigle della frastagliata minoranza Pd. Arrivano i molti. Non tutti. Non c’è per esempio Roberto Speranza, il presidente dei parlamentari Pd, oltreché capofila dei bersaniani ’dialoganti’ (con Renzi) di Area riformista. La corrente che ha subito un doppio «schiaffo» – è la parola più ripetuta dal palco – dal jobs act, uno politico l’altro istituzionale: perché il premier ha tradito l’atto di fiducia fatto al momento del voto sul provvedimento (in 29 invece non l’anno votato) inserendo le norme sul licenziamento collettivo che prima non erano specificate; e perché il governo non ha tenuto conto dei pareri negativi delle commissioni, insomma dei parlamentari delle camere. Pareri in cui il Pd per una volta si era espresso unitariamente, renziani e antirenziani. «Il governo ha preso in giro il parlamento, umiliando deputati e senatori che si sono impegnati per migliorare il testo: un atteggiamento ingiustificato e ingiustificabile», secondo i senatori Fornaro, Guerra e Pegorer. Su questo anche la presidente della Camera Laura Boldrini si fa sentire. I pareri delle commissioni parlamentari, in caso di decreto, non sono vincolanti, ma «sarebbe stato opportuno tenerli nel dovuto conto», dice da Ancona, durante la visita a una scuola. E rincara: «Credo nei ruoli intermedi, associazioni, sindacati. L’idea di avere un uomo solo al potere, contro tutti e in barba a tutto a me non piace. Non mi piace».

A Roma anche Stefano Fassina è severo: «Nel nostro paese c’è una deriva plebiscitaria della democrazia. Ormai si disconoscono i corpi intermedi come Cgil, Cisl, Uil, le associazioni di rappresentanza». Ma anche la democrazia interna del Pd lo «preoccupa»: «Negli ultimi dieci giorni, dopo la vicenda felice di Mattarella alla quale si è arrivati non per gentile concessione del sovrano, sono avvenuti due fatti di straordinaria gravità: votare da soli metà Costituzione, e il jobs act che ha ignorato quanto deciso dalle commissioni e dall’odg della direzione nazionale del partito». In disaccordo con lui Andrea Orlando, ministro della giustizia ma presente all’assemblea da autorevole esponente dei giovani turchi. «Questo governo affronta cose che per molto tempo sono state messe sotto il tappeto, a partire dal tema del precariato». Con quali risultati è cronaca di questi giorni. I due hanno uno scambio poco cordiale sotto il palco.

Ma per quanto Fassina speri di cambiare le regole del lavoro con una legge di iniziativa popolare (lo propone la Cgil), e per quanto in molti ora chiedano il finanziamento degli ammortizzatori sociali, il jobs act ormai è nelle mani del governo: cioè una storia chiusa. Affidata semmai al parere dei legali e della Corte Costituzionale, davanti alla quale Cgil e Fiom sperano di arrivare.

Il futuro della minoranza Pd, anche della sua residua (e inefficace) resistenza, è invece in un nodo di fondo: inventarsi qualcosa per contare; o alzare bandiera bianca. Ragiona Alfredo D’Attorre: «I passaggi successivi all’elezione del Capo dello Stato indicano che quando Renzi può procede indipendentemente dal consenso del proprio partito. Insomma: abbiamo inciso solo quando siamo stati uniti e determinati». La prossima frontiera sarà il ritorno alla camera della legge elettorale. Cuperlo, che è deputato, promette battaglia, almeno stavolta. «Ci batteremo per modificare legge elettorale, se il patto del Nazareno non c’è più nulla lo impedisce. Lo faremo e andremo fino in fondo». Anche Bersani si dichiara «leale alla ditta ma prima leale alla democrazia». Fassina insiste però sui comportamenti in aula: «A livello parlamentare possiamo promuovere un coordinamento tra quelle persone che hanno anche provenienze diverse e che però, non in astratto ma con comportamenti concreti, hanno dimostrato sul campo di volersi misurare su quello che sta succedendo assumendosi le proprie responsabilità». Magari, è la conseguenza, non votando un provvedimento. Intanto l’appuntamento è a marzo per un’assemblea di tutte le sfumature della sinistra interna.

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