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Pisapia lascia, non se ne fa un altro

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Milano Il disimpegno del sindaco Giuliano Pisapia per le elezioni del 2016 getta nel panico quel che resta dell'esperienza arancione, mentre le avanguardie del Pd renziano già prenotano la poltrona di Palazzo Marino. Comincia così la più lunga campagna elettorale della storia della città, un'occasione anche per il centrodestra che cercherà di ricompattarsi per una sfida che non è più impossibile. Impazza il toto nomi ma il primo a farsi avanti con una certa credibilità è il capo della Lega Matteo Salvini. Le primarie del centrosinistra dovrebbero tenersi subito dopo l'Expo ma ancora non è chiaro con quale coalizione ci si presenterà alla prossima sfida

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 24 marzo 2015

Se ne va. San Giuliano torna ad essere un uomo libero. La primavera è finita ancora prima di cominciare. Il salto nel vuoto dello spazio tempo sconcerta i milanesi che ancora ci credono e anche quelli che da tempo non professano più la fede arancione. Per il calendario si vota a maggio. Del 2016. Eppure la più lunga campagna elettorale della storia di Milano – quattordici mesi – è cominciata addirittura prima che il sindaco annunciasse la rinuncia al secondo mandato. Tutti sapevano. Per questo, per disinnescare tatticismi e lingue biforcute che in piena Expo avrebbero potuto generare “equivoci ed errori”, Giuliano Pisapia domenica è stato costretto a rendere pubblica la sua decisione. “Mi dà più libertà di ragionare senza nessuna ottica elettorale”, ha ribadito ieri in consiglio comunale. Lo hanno applaudito, smarriti, sia i rappresentati di quella sinistra orfana che adesso non sa dove sbattere la testa, sia le nuove leve renziane del Pd che non vedono l’ora di presentare il conto a Milano.

Dice che getta la spugna per “coerenza” e non per “stanchezza”, perché così aveva promesso nel 2011, durante il miracolo dell’arcobaleno in piazza Duomo. Questa spiegazione, però, non basta a giustificare la mesta uscita di scena del sindaco più popolare, l’uomo che probabilmente avrebbe potuto governare fino al 2021 con la stessa maggioranza di sinistra/centro che esiste solo grazie a lui. Un’alchimia forse poco brillante, che ha anche deluso molte aspettative, ma pur sempre eccezionale in tempi di renzismo spinto.

Non è mai esistito, a Milano, un sindaco che non abbia cercato la riconferma per lasciare un’impronta sulla città. Allora perché lo ha fatto? Forse era stufo e insoddisfatto, suggerisce chi lo conosce: di questa politica e della vita da politico di professione. Non è la spiegazione più semplice da accettare, anzi, è la più complessa, che scardina le dietrologie più scontate. Quasi una lezione per tutti: “Nessuno è indispensabile”. Da qui lo smarrimento generale e il toto nomi improvvisato sul futuro sindaco della città, dove oggi vale tutto e il contrario di tutto, e non è saggio partecipare.

Un dato politico però è scontato. Anzi due. La sinistra diffusa, intesa ben al di là della somma delle debolezze di Sel e Prc, non ha un candidato per Palazzo Marino. Neanche l’ombra: non esiste un altro Pisapia. E il vuoto pneumatico non è un bel risultato dopo quattro anni di supposta “partecipazione dal basso” che avrebbe dovuto formare una nuova classe dirigente. Logico arrovellarsi: c’è chi sogna un improbabile ripensamento del sindaco sull’onda di un ritrovato entusiasmo popolare, e chi azzarda l’ipotesi di una candidatura di sinistra fuori dagli schemi sul modello “Podemos”, un’idea da non sottovalutare considerando la scarsa consistenza dei partiti della sinistra tradizionale. Poi ci sono quelli che non vedono l’ora di passare all’incasso: il Pd dei nuovi dirigenti a trazione renziana. Faranno di tutto per imporre il loro candidato alle primarie del prossimo ottobre, magari puntando su una figura di riferimento della cosiddetta “borghesia illuminata”, ben sapendo che da queste parti non sarebbe molto gradito un sindaco imposto dal “partito della nazione”. Stando così le cose, difficilmente si potrà ricomporre l’alleanza di sinistra/centro che ha portato alla clamorosa vittoria del 2011.

Le manovre sono cominciate. Tutti fingono di andare d’amore e d’accordo aggrappandosi al totem delle primarie aperte da tenersi dopo Expo, “a meno che si trovi un candidato condiviso” dicono alcuni esponenti del Pd che cominciano a prendere le distanze dal modello “candidature dal basso”. Anche le alleanze scricchiolano. Pietro Bussolati, segretario milanese del Pd, immagina un “comitato di saggi con figure di spessore” per un percorso che porti a primarie trasparenti (Pisapia ha già declinato l’invito); ma ha anche detto, in vista del 2016, “quest’ultimo anno sarà un test per vedere chi ci sta e chi no, non ce lo ha ordinato il dottore di restare sempre uniti”. Sono passate solo 24 ore. L’unico che scalpita fuori da denti è l’assessore “civatiano” Pierfrancesco Majorino, “niente alfanismi d’accatto o avvoltoi che sviluppano strani ragionamenti politicisti”: pretende le primarie, qualcuno lo vuole sindaco (Renzi permettendo).

L’uscita di Pisapia ha ridato un po’ di energia anche al centrodestra più malconcio mai visto a Milano. Il primo passo lo ha fatto il capo della Lega Matteo Salvini invitando il sindaco a dimettersi subito – “se serve io sono a disposizione”. Ma anche da quelle parti terranno banco le primarie, un processo che servirà a resuscitare quel poco che resta di Forza Italia, specialmente dopo le disavventure dell’ex ministro Maurizio Lupi. Fin da piccolo studiava (e studia) da sindaco di Milano.

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