La signora del minimalismo americano
Scaffale Un libro di Germano Celanti, uscito per Skira, ripercorre la figura della gallerista, collezionista e mecenate Usa Virginia Dwan
Scaffale Un libro di Germano Celanti, uscito per Skira, ripercorre la figura della gallerista, collezionista e mecenate Usa Virginia Dwan
Quando la seconda mostra di Ad Reinhardt, intitolata Ad Reinhardt: Recent Square Paintings 1960-1963, apre nella nuova sede della Dwan Gallery, sempre a Westwood, Los Angeles, sono passati solo due giorni dall’assassinio di Kennedy. Virginia Dwan ricorda di aver passato quella notte insieme a Ad Reinhardt; entrambi immobili davanti ai filmati trasmessi e ritrasmessi ininterrottamente dai canali televisivi. Che fare? Cancellare tutto?
LA MOSTRA INAUGURÒ il 24 novembre, senza orpelli e cocktail. La stessa Dwan ricorda le persone intervenute quel giorno e i ringraziamenti per quei dipinti listati a lutto, tutti neri. Alla giovane gallerista deve essersi gelato il sangue nelle vene: gli avventori pensavano davvero che Reinhardt avesse ricoperto quei quadri di nero in segno di lutto nazionale? Trovate questo aneddoto a pagina 100 di un magnifico libro di Germano Celant, dedicato appunto a Virginia Dwan: Virginia Dwan and Dwan Gallery (Skira, 55 dollari).
Ripasso per i più distratti: Virginia Dwan (oggi una signora di 86 anni), resta una delle grandi figure del collezionismo e del mercato dell’arte negli Stati Uniti, insieme a Leo Castelli, Ileana Sonnabend, Sidney Janis, Alexander Iolas, Seth Siegelaub, Betty Parsons. Nata a Minneapolis il 18 ottobre del 1931, è figlia di Charles William Dwan, proprietario della Minnesota Mining and Manifacturing Co. Nel 1944, alla morte del padre, ha dodici anni. Erediterà una modesta fortuna: più o meno 22 milioni di dollari. Si trasferisce con la madre a Los Angeles nel 1948. Si iscrive alla Ucla. Segue corsi d’arte e filosofia. Si sposa una prima volta. Ha una figlia, Candace. Non termina gli studi, ma dimostra sempre più interesse per l’arte. Viaggia (una costante della sua vita). A New York. In Europa (Virginia Dwan’s Journey si intitola il bel saggio di Celant che apre il libro).
Si risposa nel 1958 con Philippe Vadim Kondratief. Si trasferiscono a Malibu e l’anno successivo, incoraggiata dal marito, apre la sua prima galleria a Westwood, con una personale di Stanley Twardowicz: è il 19 ottobre del 1959.
Riguardo gli artisti ha le idee chiare. Seguendo con attenzione la preziosa cronologia che cadenza anno dopo anno le pagine del libro, riusciamo a cogliere in sequenza le scelte della galleria, incrociando i dati con gli eventi salienti che avvengono quello stesso anno nel mondo dell’arte. Un po’ come riuscire a captare un periodo storico in movimento, seguendo le scelte di una persona, attraverso i suoi incontri, i suoi viaggi, le sue osservazioni, le lettere.
Così, dal 1959 al 1965 a Los Angeles e dal 1965 al 1971 – anno in cui Virginia Dwan chiude la sua galleria a New York (quella a Los Angeles terminerà la sua attività nel 1967) – passiamo in rassegna tutte le mostre accolte nei suoi spazi. Possiamo apprezzarne l’allestimento grazie al corposo materiale iconografico.
A LOS ANGELES espongono Larry Rivers, Franz Kline, Yves Klein (la reazione davanti ai lavori di Klein esposti nel 1961 è un misto di rabbia, invidia, rivalità), Philip Guston, Ad Reinhardt, Rauschenberg, Jean Tinguely, Arakawa, Arman, Claes Oldenburg, Martial Raysse, Edward Kienholz. Poi, frequentando sempre più spesso New York, Dwan riesce a percepire i fermenti in atto in quella città. Tanto che vi si trasferisce. Kienholz apre gli spazi della galleria newyorchese, nel novembre del 1965, ma nel 1966 cominciano a esporre Sol LeWitt, Carl Andre, Walter De Maria, Robert Morris, Charles Ross, Robert Smithson, Dan Flavin.
SONO GLI ANNI del minimalismo e dell’Arte povera. C’è voglia di lasciare gli spazi della galleria per interagire con il territorio (imperativi della Land art). Sarà Walter De Maria a far conoscere a Dwan Michael Heizer. Sarà lei a finanziare il suo Double Negative (1969-70), così come la Spiral Jetty di Smithson e la prima versione del Lightning Field di Walter De Maria.
Un libro prezioso dunque, che circoscrive un periodo cruciale dell’arte americana. Il giusto riconoscimento per una figura carismatica e forse un po’ defilata. Mecenate, testimone cruciale di un’epoca (si vedano alcuni sui scritti nel volume), molti di questi artisti devono a lei la loro fama.
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