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La Siberia futuro granaio del mondo

Ambiente Grazie ai cambiamenti climatici, la Russia si avvia a diventare il granaio del mondo. Campi coltivati oltre il circolo polare

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 4 febbraio 2021

Una nuova nuvola, anzi un uragano, si profila all’orizzonte. Viene dall’estremo nord, dalle terre che si estendono oltre il circolo polare artico. Una zona della terra da sempre considerata inospitale, oggetto di nobili avventurose esplorazioni, di meno nobili corse all’oro e, da quando i ghiacci hanno cominciato a sciogliersi, di corse tendenti ad accaparrarsi petrolio e terre rare.

Perché si addensano le nubi? Il motivo va ricercato nel contenuto di in un lungo articolo del New York Times Magazine che ci rivela come la Russia si avvia a diventare il granaio del mondo grazie al cambiamento climatico. E già, perché mentre nel resto del mondo la produzione alimentare diminuirà a causa delle sempre più devastanti ed estese desertificazioni, siccità e alluvioni, il riscaldamento globale ha già cominciato a rendere produttivi terreni, in Siberia prima di tutto, finora inadatti all’agricoltura. Grazie alle estati più lunghe e più miti il confine delle terre coltivabili si sta muovendo rapidamente verso nord; gli aratri potranno cominciare a svellere un terreno prima ghiacciato per prepararlo alla semina prima, e al raccolto dopo. Anzi, hanno già cominciato a farlo.

IL FENOMENO È AI SUOI INIZI, ma è prevedibile che milioni di contadini andranno ad occupare queste terre per coltivarle, e per incoraggiarli lo stato provvede già con generosi incentivi. Buon per loro, buono per i paesi in cui queste terre si trovano, e buon per noi, umanità tutta, verrebbe da dire, perché non saremo costretti a morire di fame. Giusto, ma ci sono risvolti pericolosi, ci fanno notare gli autori dell’articolo, e gli Usa dovrebbero preoccuparsi seriamente di questo fenomeno, perché va a sovvertire gli attuali equilibri geopolitici, amplificato dal fatto che – sempre a causa del riscaldamento globale – le rotte transpolari si aprono per quasi tutto l’anno ai traffici marittimi, con enorme vantaggio per la Russia, che può esportare merce verso l’Europa e l’America riducendo tempi e costi di navigazione.
Cito questo articolo, che analizza molto più in profondità il tema che sintetizzato sopra, perché rappresenta un caso da manuale di come sia difficile informare sui temi del cambiamento climatico e del degrado ambientale in genere. Difficile e a volte fuorviante, anche se l’informazione fornita è corretta. Infatti nel caso di cui stiamo parlando non sono state fornite informazioni sbagliate, tutt’altro, ma non connesse con altre che cambiano completamente il quadro e il contenuto stesso dell’informazione fornita, con conseguenze che finiscono per avere riflessi politici.

LE ALTRE INFORMAZIONI OMESSE (e non connesse) che cambiano il quadro sono due. La prima sta nel fatto che nel raccontarci con fredda indifferenza che il limite superiore delle terre coltivabili avanza verso nord grazie anche al fatto che il riscaldamento globale va scongelando la crosta gelata del terreno artico, il permafrost, dimentica (non sa, temo), che lo scongelamento del permafrost è una terribile iattura. Infatti il permafrost, che è quello strato permanentemente gelato sotto una patina superficiale che si scioglie durante la breve estate e su cui si appoggia la tundra artica, immagazzina i resti della vita che un tempo fioriva nell’artico: piante morte, animali e microbi, tutti congelati da migliaia di anni. Materia che si è conservata in massima parte sotto forma di torba, e che scongelandosi riattiva i processi di decomposizione microbica, con conseguente rilascio di metano e anidride carbonica (per non parlare dei virus che possono tornare in circolazione e nei confronti dei quali non siamo protetti). Il metano, in particolare, essendo un gas serra venticinque volte più potente della CO2 darebbe una forte accelerazione al riscaldamento globale innescando una spirale che porterebbe ad una accelerazione del processo di aumento della temperatura globale, con effetti imprevedibili e molto probabilmente catastrofici. E non basta. È una terribile iattura perché – e questa è la seconda informazione omessa – il permafrost che ricopre le terre artiche conserva in media il doppio del carbonio presente nell’atmosfera, che è pari a quattro volte quello emesso dagli umani dall’inizio della rivoluzione industriale: una quantità enorme.

IN PARTICOLARE, METTE IN GUARDIA uno studio, alcune di queste aree di frontiera hanno i terreni fra i più ricchi di carbonio: lo strato fertile delle aree che verrebbero coltivate in Russia e in Canada contiene circa un terzo dello stock di carbonio organico mondiale, cioè una quantità equivalente 100 volte le attuali emissioni degli Usa.

Ebbene, i processi di aratura e in genere di lavorazione del terreno necessari per la produzione agricola mettono questo carbonio in contatto con l’atmosfera, portandolo ad ossidarsi, cioè trasformarsi in CO2, che va ad aggiungersi a quella prodotta da tutte le altre fonti antropogeniche: un ulteriore contributo all’accelerazione del riscaldamento globale e una spinta al rapido raggiungimento di temperature incompatibili, in molte parti del mondo, con la sopravvivenza fisica oltre che con la produzione agricola, costringendo a migrazioni di proporzioni inimmaginabili, con altrettanto inimmaginabili effetti sociali ed economici.

ECCO QUAL È L’URAGANO CHE SI PROFILA all’orizzonte, che purtroppo una pur autorevole testata non è stata capace di avvistare. Fosse solo alterazione degli equilibri geopolitici, riusciremmo forse a cavarcela, ma non ce la caviamo di certo se il cambiamento climatico subisce la brusca accelerazione che deriverebbe dalla messa a coltura delle terre artiche.

Un tema in più da mettere all’ordine del giorno dei vari G7, G8, G20.

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