Cultura

La sfida incompresa di Paolo di Tarso

La sfida incompresa di Paolo di TarsoValentin de Boulogne, «San Paolo che scrive le epistole», XVI secolo

Scaffale Intorno al volume di Corrado Augias edito da Rai Libri. Una lettura della sua figura che non tiene conto delle pratiche innovative di cui fu promotore: un aspetto centrale già sottolineato ed esplorato da Pasolini, Alain Badiou, Slavoj Žižek, Ward Blanton

Pubblicato circa un anno faEdizione del 30 settembre 2023

Il volume di Corrado Augias su Paolo, uscito da qualche settimana per l’editore Rai Libri (Paolo. L’uomo che inventò il Cristianesimo, pp. 256, euro 20), non ha scatenato alcun dibattito. Forse bisognava aspettarselo. D’altronde, chi è interessato a discutere su un personaggio che avrebbe «inventato il cristianesimo» e con esso uno stato di oppressione etica e politica che dura da oltre duemila anni?

EPPURE, Paolo potrebbe sorprendere per la sua carica eversiva. Paolo, il suo pensiero complesso e spesso inafferrabile (non tanto per difficoltà quanto per molteplicità e dinamicità delle riflessioni) potrebbe essere la chiave per stravolgere il pensiero e le pratiche politiche e sociali correnti. Ora, nel libro di Augias, questa carica eversiva è completamente normalizzata e sedata.

Augias presenta un’interpretazione della figura e del pensiero di Paolo parziale, più che tradizionale, e acritica, che non tiene alcun conto degli studi e delle riflessioni che su di lui si sono sviluppate negli anni. I riferimenti al solo Bultmann ne sono un esempio: come se, in decenni di analisi esegetica, storica, antropologica o filosofica (tanti – e molti di più – sono gli ambiti in cui molti/e studiosi/e hanno riflettuto su Paolo) solo Bultmann e la tradizione teologica ed esegetica tedesca avrebbero detto qualcosa di sensato su Paolo.

Affermazioni come quelle su «Paolo inventore del cristianesimo», su «Paolo dotato di un temperamento aspro» e scontroso, in contrasto con Pietro «uomo profondamente buono», su Giacomo (fratello di Gesù) «uomo di raffinata dialettica», ma anche bigotto e conservatore, dedito alla «paccottiglia giudaica» (leggi “la pratica della Torah”)… Ebbene, tutto questo rileva l’antica, criticata e giustamente superata polarizzazione a-dialettica tra Paolo e il giudaismo, tra Pietro e Paolo, tra Paolo e Giacomo. Ma la storia è più complessa di così, ed è anche più bella.

ORA, NON SOLO PAOLO era e resterà sempre un ebreo del I secolo, non solo la sua vicenda è da inquadrare proprio nel complesso e articolato mondo giudaico di quell’epoca, delle sue relazioni (spesso conflittuali) con quanto lo circondava; Paolo è anche qualcuno che, a partire dalla sua esperienza, decise di essere promotore di nuove pratiche di vita collettiva, fondate sull’anarchia dello Spirito di Dio. Invece, la dinamicità politica paolina è completamente taciuta da Augias.

Eppure questo aspetto centrale era stato già sottolineato ed esplorato da Pasolini, Alain Badiou, Slavoj Žižek, Ward Blanton… L’idea cioè che potesse esistere nel Messia Gesù una nuova vita comune in cui fossero superate le divisioni etniche («non ci sono più ebrei né greci»), sociali («non ci sono più schiavi né liberi») e di genere («non c’è più maschio e femmina»), in cui la legge fosse negoziazione e in cui la libertà fosse distruzione della costrizione.

L’impiego che Augias fa delle fonti è quanto meno problematico, come se l’uso degli Atti degli apostoli per la ricostruzione delle vicende di Paolo fosse esente da problemi e non risentisse invece (come è stato rilevato da molti studiosi) di una certa modalità edulcorata e irenica di mostrare Paolo come l’eroe della fede. La totale assenza di un linguaggio inclusivo è disarmante. Nel capitolo 8 (dall’inquietante titolo “Una storia d’amore”), si fa menzione di una donna, Lidia, che Paolo avrebbe incontrato a Filippi. La ricca e generosa Lidia è dipinta da Augias come «fervente e sensuale» e Paolo, subito prima, come un quarantenne «vigoroso». Il linguaggio ammiccante è solo apparentemente camuffato, visto che in fine capitolo Augias spera che tra i due, Paolo e Lidia, ci sia stato qualcosa in più che un semplice incontro, che Lidia lo abbia «sedotto in tutti i sensi», in modo tale da consentire a Paolo, sempre così teso, un po’ di relax. Meriterebbe scrivere un articolo di critica anche solo per queste considerazioni di segno marcatamente patriarcale.

UN’ULTIMA CONSIDERAZIONE riguarda l’importanza della divulgazione. Il mondo accademico è sempre più scollegato dalla società: a chi potrebbe interessare se un manipolo di studiosi fa ricerca su Paolo? La necessità invece da parte di chi svolge il lavoro accademico di ricollegarsi alla côté militante che sta nel dna della ricerca è urgente, come lo anche l’esigenza, da una parte, di mostrare a tutti che (nel caso specifico) Paolo ha molto da dire alla società odierna; dall’altra, di ridare dignità alla divulgazione, per contribuire infine all’abbattimento delle barriere elitarie, creare una società di condivisione del sapere e così realizzare nuove pratiche collettive che proprio il pensiero di Paolo potrebbe suggerire.

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