Visioni

La sfida di un’adozione per sentirsi diversi nell’esistenza di sempre

La sfida di un’adozione per sentirsi diversi nell’esistenza di sempreUna scena di «Vittoria» di Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman

Al cinema «Vittoria» di Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman, in sala il film presentato nella sezione Orizzonti a Venezia

Pubblicato 4 giorni faEdizione del 3 ottobre 2024

«Che vuoi sapere? Cos’è che non mi stai dicendo?», chiede inflessibile la cartomante a Jasmine che, a sua volta, si mostra in difficoltà per quella pressione tanto veemente. Si aspettava un responso più chiaro che, spontaneamente, combaciasse con le sue celate aspettative. Non voleva essere lei a uscire allo scoperto. Ma alla fine, messa alle strette, è obbligata a porre il quesito in modo esplicito: «Io tengo tre maschi, voglio sapere se faccio la figlia femmina». La bambina non arriverà né oggi, né domani. Questo, inesorabilmente, dicono le carte. Jasmine, però, non arretra, è pronta a superare ostacoli immateriali e tangibili, profezie avverse e pragmatici dinieghi. Con Vittoria (presentato alla recente Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Orizzonti Extra), Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman, dopo Butterfly e Californie, proseguono la loro personale indagine a Torre Annunziata e dintorni, tra una realtà che si appella alla ricostruzione della finzione e una messa in scena che attinge dal vissuto. Tra storie auto-conclusive che sono, per usare una terminologia da serie tv, lo spin off l’una dell’altra.

INFATTI, se nel primo ideale episodio di questo trittico, la protagonista era Irma, una pugile fortemente determinata a partecipare alle Olimpiadi di Tokyo dopo l’esperienza fallimentare di Rio de Janeiro, e nel secondo era Jamila, una ragazza che spera in un futuro radioso e che avevamo intravisto in Butterfly, in Vittoria il personaggio principale, Jasmine, è una parrucchiera incontrata in Californie che, al contrario delle giovani Irma e Jamila, pare avere realizzato le sue aspirazioni, a parte il nome del suo salone che avrebbe dovuto chiamarsi California. D’altro canto, un’insegna sbagliata non è poi un dramma dal quale non riprendersi.

A Torre Annunziata tra realtà e finzione, una messa in scena che attinge sempre dal vissuto

UN MARITO con il quale va d’accordo, tre figli che crescono affrontando le quotidiane turbolenze della vita, un lavoro che la soddisfa e che le dà la possibilità di creare un piccolo universo nel quale collocare e affermare la propria presenza. Tutto è in ordine. Ciò che è stato già fatto vince su ciò che non è ancora. Le cose, evidentemente, non stanno così, il mondo non si può cristallizzare. Una crepa frantuma quello specchio dove era semplice identificare una figura perfettamente delineata. Jasmine ha la tachicardia e la notte non riesce a dormire. Un sogno ricorrente la tormenta e le sta indicando una nuova via da seguire, un’immagine da ricomporre. Ogni notte, nella dimensione onirica, le appare il padre morto a causa di un tumore per l’esposizione all’amianto quando lavorava all’Ilva di Bagnoli. È per strada e tiene per mano una ragazzina che Jasmine sente come sua. Per quel «non ancora», perciò, lo spazio resta aperto. Come per Irma e Jamila, pure per Jasmine il tempo continua a scorrere in avanti. Non le basta affatto voltarsi indietro e ammirarsi.

DA QUESTA PREMESSA, ha inizio un film sul tentativo di una coppia (con un’intenzione non esattamente simmetrica) di adottare una bambina, perché da una gravidanza potrebbe uscire l’ennesimo maschio. Un racconto che riguarda un desiderio non del tutto spiegabile se ci affidassimo al senso comune, a quegli stereotipi che si elevano a regole dell’esistenza collettiva. In pochi comprendono la ferma volontà di una donna che già madre di tre figli ne vorrebbe una quarta. Da quale demone è attraversata Jasmine? La sua è un’aspirazione o un’ossessione? Quanto è diversa la bambina dalla balena bianca descritta da Herman Melville che il capitano Achab insegue disperatamente per gli oceani? Non è detto che a queste domande sia necessario dare delle risposte.
Anzi è proprio da questa imperscrutabilità che il lavoro di Cassigoli e Kauffman trae forza. Vittoria non spiega l’adozione come fenomeno, pur esibendone i passaggi più complessi. E non intrappola i personaggi in un ruolo per raccontare un tema seppur importante e delicato. Jasmine, suo marito Rino e coloro che appaiono in questo racconto, sono alle prese con piccole e grandi ambizioni, chi per cambiare vita restando uguale, chi per sentirsi diversa nell’esistenza di sempre. Presto o tardi, scoprendo che non si è mai soli, si potrebbe persino arrivare a condividere lo stesso sogno.

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