Scoperchiare un mondo che non c’è più, dal quale ci separano due secoli e mezzo, una voragine temporale irrimediabile. Portare alla luce fatti minuti che ricostruiscono la trama degli eventi, cavare da formule scritte sentimenti e passioni svaporati nel nulla, che ci raccontano odi e rancori, favori e gentilezze. E grande arte. Chi sa scoperchiare così un mondo che è cenere del tempo, e invece ci appare brulicante come la moltitudine di forme di vita che scopriamo rovesciando un masso in campagna è un bravo storico, una persona che sa far parlare le fonti, e deve avere anche il dono di una penna precisa e ironica. Doti che possiede in gran copia Giacomo Cardinali autore de Il giovane Mozart in Vaticano (Sellerio). Paleografo e filologo, specialista di libri a stampa e manoscritti tra Rinascimento ed era dei Lumi e di letteratura neolatina, Cardinali ha setacciato Archivio e Biblioteca apostolica vaticana, ridato voce e sangue a carte scritte nel paludato (a volte trasandato) latino o volgare del Settecento curiale, quando Roma era ancora potenza temporale a tutti gli effetti. In quella Roma approda Wolfgang Amadeus Mozart nella primavera del 1770, accompagnato da un servitore e dal padre Leopold, occhiuto tutore, e, diremmo oggi, implacabile manager del talento assoluto del ragazzino (Mozart aveva appena quattordici anni), sempre e comunque intenzionato a guadagnarne in finanze, benemerenze e gloria di riflesso. Non una bella persona. Compensata dalla straordinaria leggerezza del Ragazzo di Salisburgo, che della vita sapeva cogliere anche gli aspetti buffi, riferendone poi nelle lettere alla sorella. Amadeus era a Roma per carpire il segreto del misterioso Miserere di Gregorio Allegri, la musica in bilico tra gregoriano e polifonia che veniva eseguita solo in occasioni molto particolari, alla presenza del Papa sovrano, in un incedere di tenebre sottolineato dal progressivo spegnimento delle candele. Era proibito averne copia manoscritta, così come far uscire qualsiasi materiale dall’ambito della Cappella Sistina. Mozart accetta la sfida, assiste due volte all’esecuzione del Miserere da parte dei Cantori. Poi, nel chiuso di una stanza, a memoria, trascrive l’opera sul pentagramma. Rancori, tradimenti, liturgie paludate e asfissianti, melliflue e irredimibili incensature: tutto prende vita, come musica, con la penna di Cardinali. Un grande libro di storia della musica, attraversato da un sorriso davvero mozartiano.