La sfida dei sindaci riapre le crepe nei 5 Stelle
Banditi Il senatore Mantero: «Dl sicurezza incostituzionale e stupido»
Banditi Il senatore Mantero: «Dl sicurezza incostituzionale e stupido»
Non è bastato far fuori Gregorio De Falco. La sfida dei sindaci al decreto sicurezza riapre la ferita sul provvedimento voluto da Matteo Salvini e fortemente sostenuto da Luigi Di Maio in nome della coerenza dell’accordo tra Lega e M5S. ll senatore Matteo Mantero parla di misura «incostituzionale e stupida». «Ecco quello che si ottiene emanando un decreto al solo scopo propagandistico, che auspicabilmente sarà smontato dalla Consulta», dice Mantero, che poche ore prima del 2019, unico tra un drappello di dissidenti, è stato assolto dal collegio de probiviri M5S per le sue posizioni critiche.
Critiche che Di Maio deve fronteggiare mentre si trova in una specie di vacanza sotto i riflettori, una settimana bianca che apre il lungo tour elettorale che condurrà alle europee. Tutto vorrebbe, il «capo politico», tranne che essere costretto a riportare l’ordine tra i suoi e riaprire la ferita delle leggi sulla sicurezza. «Se c’è qualcuno che si sente a disagio si ricordi che ha votato quel decreto perché fa parte di una maggioranza che ha sostenuto questo provvedimento», afferma nel pomeriggio dalle montagne del bellunese. Esorta i suoi a tacere sull’argomento, ha già detto il giorno prima di considerare questa storia solo una scusa per cercare voti. Ripropone – lo fa anche rispondendo alle domande sui porti chiusi ai migranti prima di cambiare posizione in serata – la contrapposizione tra «diritti civili» (dei migranti) e «diritti sociali» (degli italiani).
In attesa dei passaggi delicatissimi su autonomia del nord, legittima difesa e, se si arriverà al dunque, taglio degli stipendi dei parlamentari, i gruppi sono tenuti sotto controllo. Alla camera sarebbe in sofferenza Gloria Vizzini, una dei 18 deputati che inviò una mail al capogruppo Francesco D’Uva lamentando il poco confronto sul dl sicurezza. I vertici del M5S dicono che da allora la musica è cambiata.
In verità non hanno intensificato le assemblee, cosa che fino all’altro giorno ha lamentato De Falco, ma hanno cercato di tenere un filo di dialogo con gli eletti, seppure in forma individuale e non collegiale. A Montecitorio, dunque, non circola particolare preoccupazione. Ci sono altri deputati talvolta critici, come il presidente della commissione cultura Luigi Gallo, che dalle alte sfere non vengono considerati un problema: alla fine hanno sempre votato in linea con le direttive dei vertici. Al senato la situazione è diversa: la cacciata di De Falco e quella, considerata imminente di Paola Nugnes ed Elena Fattori assottiglia la maggioranza.
Dal canto suo insiste proprio Nugnes, in attesa di giudizio dal tribunale interno: «La sollevazione di molti sindaci era inevitabile, non mi sorprende».
Già, i sindaci. Alle sue origini il Movimento 5 Stelle si muoveva su base comunale, per cambiare la politica dai territori. Adesso gli amministratori del M5S delle città principali accettano il decreto in nome della realpolitik nazionale. Da Livorno, un Filippo Nogarin dato in fuga verso l’europarlamento rassicura i vertici: «Non chiederò ai miei dirigenti di ignorare la legge». E però definisce il decreto sicurezza «tutt’altro che una buona legge».
A Roma e Torino il decreto sicurezza è stato «bocciato» dai consigli comunali. Le sindache adesso tacciono. Anche se nella città di Virginia Raggi si registra una defezione critica. Il consigliere municipale Paolo Barros, figlio di migranti della Guinea e Capo Verde, lascerà il M5S per aderire a Dema di Luigi De Magistris. «Conte incontrerà i sindaci», cerca di giustificarsi Di Maio. Poi puntualizza: «L’Anci rappresenta una stragrande maggioranza di sindaci favorevoli al decreto».
Ecco: rispunta Conte e Di Maio sente il fiato sul collo dell’avvocato garante del contratto di governo. Come è accaduto in occasione della manovra, questa potrebbe essere l’occasione per il premier di ritagliarsi il ruolo di leader mediatore e pragmatico. Non è detto che questa autorevolezza conquistata sul campo non finisca per sottrarre potere a Di Maio. Perché è in Conte che sperano i critici silenziosi che tra i grillini in parlamento auspicano un cambio di passo e vorrebbero distinguersi dalla Lega. È un’area più vasta dei pochi che hanno avuto il coraggio di esporsi.
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