La seconda decade della distruzione
Brasile Gli incendi di questi giorni in Amazzonia non si riscontravano da decenni. Bisogna tornare agli anni ’70, in quella che fu definita la «decade della distruzione», sotto il regime militare, per ritrovare accanimenti analoghi
Brasile Gli incendi di questi giorni in Amazzonia non si riscontravano da decenni. Bisogna tornare agli anni ’70, in quella che fu definita la «decade della distruzione», sotto il regime militare, per ritrovare accanimenti analoghi
Gli incendi che si sono sviluppati in queste settimane a tutte le latitudini, interessando diverse aree del pianeta, non hanno riscontri per vastità e durata. Il fuoco si è impadronito sia delle foreste tropicali che di quelle artiche. Amazzonia, Siberia, Alaska e Groenlandia hanno visto andare in fumo milioni di ettari del loro prezioso patrimonio forestale. L’incendio di una foresta rappresenta uno degli eventi più drammatici da un punto di vista ambientale. Ogni albero che brucia cessa di sottrarre anidride carbonica all’atmosfera e, nello stesso tempo, la sua combustione libera in pochi secondi i gas serra che erano stati immagazzinati nei suoi tessuti nel corso di alcuni decenni. Un duplice danno per il pianeta alle prese con un aumento della concentrazione di CO2 nell’atmosfera e che nel mese di maggio di quest’anno ha raggiunto un valore pari a 415 parti per milione, un livello mai toccato da quando esistono gli esseri umani sulla Terra. Livelli così elevati erano presenti 5 milioni di anni fa, prima della comparsa dell’uomo, quando le temperature medie erano superiori di 2-3 °C rispetto a quelle attuali.
Rispetto a 60 anni fa, da quando sono iniziate le rilevazioni, la concentrazione di anidride carbonica è aumentata del 32%. Gli incendi di foreste e savane hanno contribuito in modo rilevante nel corso di questi ultimi decenni ad innalzare il livello di concentrazione.
Si calcola che gli incendi che si sviluppano ogni anno in Amazzonia siano responsabili del 5% di tutte le emissioni mondiali di CO2. Un dato che dovrà essere aggiornato verso l’alto, dopo la frenetica attività incendiaria di questi mesi. Se in Amazzonia sono le attività umane la causa principale degli incendi, in Siberia e Alaska si misurano gli effetti del riscaldamento del pianeta. La zona artica si sta riscaldando più velocemente di quanto avvenga nelle altre aree del pianeta e le ondate di calore che si sono prodotte nei mesi di giugno e luglio hanno fatto registrare temperature di circa 10 °C superiori alle medie del periodo.
NELLE FORESTE ARTICHE sono presenti estese torbiere e quando la temperatura supera i 30 °C la torba si secca e si incendia facilmente, rilasciando enormi quantità di CO2. Lo spegnimento degli incendi è reso più difficile perché la torba continua a bruciare per settimane. Sono andati in fumo, secondo i dati ufficiali, dai 3 ai 5 milioni di ettari di foreste siberiane (Greenpeace ritiene che siano il triplo) e 700 mila ettari di foreste dell’Alaska. Si calcola che i roghi della Siberia abbiano immesso nell’atmosfera più di 100 milioni di tonnellate di CO2 Uno scenario difficile da immaginare qualche decennio fa.
LA RELAZIONE TRA RISCALDAMENTO globale e incendio delle foreste si , manifestata in tutta la sua drammaticità. Un pianeta sempre più caldo determina periodi di siccità sempre più prolungati e su aree sempre più estese. Col riscaldamento della Terra si creano le condizioni favorevoli per gli incendi che, a loro volta, contribuiscono a rafforzare l’effetto serra. Ma dove c’è fumo, c’è fuoco. E quando, nel pomeriggio del 19 Agosto, il cielo della sterminata metropoli di San Paolo si è oscurato, in molti hanno compreso che si era di fronte ad una catastrofe di proporzioni immani. Si trattava di «segnali di fumo» che arrivavano dal cuore dell’Amazzonia in fiamme e che avevano percorso 2700 km. L’attività predatoria di agricoltori e allevatori, incoraggiati dalle parole del presidente Bolsonaro e dalle iniziative del suo governo, sono la causa degli incendi.
L’ISTITUTO NAZIONALE DI RICERCHE spaziali del Brasile (Inpe), il cui presidente Ricardo Galvao è stato licenziato dopo la diffusione dei dati, rileva che nei primi sette mesi del 2019 gli incendi nella foresta amazzonica brasiliana sono aumentati dell’83% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e il disboscamento è aumentato del 67%. Il sistema di monitoraggio satellitare ha registrato, dall’inizio dell’anno al 23 agosto, 76700 incendi, di cui ben 15 mila la settimana scorsa. Le aree più colpite dai roghi si trovano negli Stati del Mato Grosso, Parà, Amazonas, Tocantins, Rondonia, una “cintura di fuoco” che mira ad estendere la frontiera agricola nel paese. L’Amazzonia viene vista come un ostacolo e l’insediamento di Jair Bolsonaro alla presidenza del Brasile all’inizio di quest’anno ha avuto come effetto una forte accelerazione delle attività di deforestazione. In questi mesi sono stati depotenziati tutti gli organismi e gli strumenti di controllo, dando via libera agli incendiari. Il 10 agosto agricoltori e allevatori hanno persino organizzato a Novo Progreso (Parà), lungo la BR-163, il «giorno del fuoco», appiccando centinaia di incendi nella foresta per sollecitare il governo a varare ulteriori misure in favore delle loro attività. Gli incendi sono il modo più rapido per trasformare le aree forestali in pascoli o aree coltivate. Le queimadas, i fuochi appiccati per liberare il terreno dalla vegetazione, sono una pratica che in Brasile imperversa e che ha già portato alla distruzione di gran parte del Cerrado, l’altro importante bioma del paese.
L’AMAZZONIA È LA FORESTA PLUVIALE più grande del mondo ed ha una estensione di 5,5 milioni di chilometri quadrati, per il 60% in territorio brasiliano. Nessun ecosistema è in grado di svolgere sul pianeta un ruolo così importante nel contrastare i cambiamenti climatici e il riscaldamento globale. Il sistema forestale che la compone è in grado di assorbire ogni anno 2 miliardi di tonnellate di CO2 e produrre il 20% dell’ossigeno atmosferico. Gli incendi di quest’anno potrebbero causare il rilascio di 5 milioni di tonnellate di CO2, corrispondente alla quantità prodotta in un anno dagli Stati Uniti, il primo paese produttore di gas serra. In Amazzonia si trova un terzo di tutta la vegetazione tropicale del pianeta. Un incendio in un’area amazzonica causa la distruzione di una grande varietà di specie vegetali che hanno differenti funzioni e rendono possibile l’esistenza di molte specie animali e microrganismi. La vegetazione distrutta richiede decine di anni o addirittura qualche secolo per ricostituirsi. Inoltre, l’alterazione di microambienti in cui sono presenti specie rare, rischia di farle scomparire per sempre. La distruzione degli habitat costringe animali di ogni specie, intossicati dal fuoco e disorientati, ad abbandonare le zone colpite dagli incendi e vagare per la foresta. I mammiferi che si spostano più lentamente sono divorati dal fuoco.
HA FATTO IL GIRO DEL MONDO LA FOTO del tamandua, un formichiere che vive sugli alberi, mentre cerca di sfuggire alle fiamme che ne hanno straziato il corpo e reso cieco. Anche secondo le rilevazioni della Nasa, l’Ente spaziale americano, gli incendi di queste settimane in Amazzonia hanno assunto dimensioni che non si riscontravano da decenni. Bisogna tornare agli anni ’70, in quella che fu definita la «decade della distruzione», sotto il regime militare, per ritrovare un accanimento analogo sulla foresta e sulle sue popolazioni. La costruzione della transamazzonica BR-364 aveva prodotto devastazioni ambientali e sociali, con circa 100 mila incendi lungo il suo percorso. La deforestazione dell’Amazzonia è proseguita anche dopo la fine del regime militare e negli ultimi 30 anni è andata distrutta il 10% della sua superficie, col risultato che anche il ciclo dell’acqua ha subito gravi alterazioni. La «seca» che negli ultimi ha colpito le principali città brasiliane, in un paese che ha le maggiori riserve mondiali di acqua, è la conseguenza della progressiva riduzione della superficie vegetale. Un albero adulto della foresta è in grado di produrre mille litri di acqua al giorno sotto forma di umidità. Quando viene abbattuto o incendiato smette di alimentare i flussi di aria umida, veri e propri «fiumi volanti» che percorrono migliaia di chilometri e che dal Nord si dirigono verso il Sud-Est del paese, impedendo che questa area sia un deserto, come altre aree del pianeta che si trovano alla medesima latitudine. A San Paolo, al posto del vapore acqueo prodotto dagli alberi, è arrivato il fumo della loro combustione a segnalare che la «questione amazzonica» è più che mai all’ordine del giorno.
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