Lavoro

La scure di Almaviva: fuori 3 mila persone

La scure di Almaviva: fuori 3 mila personeLavoratrici Almaviva in piazza: cuffiette in lotta per difendere i propri posti

Call center Dopo mesi di appelli e manifestazioni partono i licenziamenti: la sede più colpita è Palermo con 1670 uscite. Il ministero dello Sviluppo: «Abbiamo messo in campo le soluzioni, l'azienda ritiri subito i tagli». Il gruppo mette sotto accusa le delocalizzazioni selvagge e l'uso distorto degli incentivi al Jobs Act. I sindacati chiedono un «Patto di settore»

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 22 marzo 2016

2988 operatori saranno licenziati nelle sedi Almaviva Contact di Palermo, Roma e Napoli. La crisi dei call center è precipitata, e dopo mesi di appelli, incontri con il governo e manifestazioni, diventa drammaticamente concreta: l’apertura ufficiale delle procedure è scattata ieri con una lettera inviata dal maggior gruppo del settore ai sindacati, al ministero del Lavoro e alle istituzioni delle tre regioni interessate. Un fitto dossier in cui la società della famiglia Tripi spiega che «in assenza di interventi strutturali» come appunto questo pesante taglio di personale «si rischia di compromettere l’equilibrio economico dell’intera azienda». Si tratta di quasi la metà dei 7862 dipendenti di Almaviva Contact – 7 su 10 sono donne – parte di una holding che nel mondo ne conta 50 mila.

Il taglio più grosso a Palermo, dove andranno a casa «fino a un massimo di 1670 operatori part time». Ben 918 esuberi sono stati individuati a Roma, e 400 a Napoli. Così si giustifica l’azienda: la società dei call center denuncia di aver chiuso «ogni esercizio economico in perdita» nell’ultimo decennio, di aver «ridotto i fatturati del 33% dal 2011 al 2015», e di aver dovuto far ricorso «a causa di queste perdite» a continue iniezioni di capitale da parte dei soci della holding Almaviva Spa verso la controllata Almaviva Contact: 40 milioni di euro dal 2005 al 2015. Mentre nel 2012 i soci della Spa sono stati chiamati a «un aumento di capitale di 47,2 milioni di euro per supportare anche e soprattutto la controllata Almaviva Contact».

Le giustificazioni del gruppo: c’è anche un “effetto Renzi”

Nelle tre sedi interessate dai tagli il margine tra ricavi e costo degli operatori sarebbe talmente basso da non poter più reggere. Diversa la gestione, con numeri virtuosi e ricorso ad ammortizzatori e solidarietà al minimo, nelle sedi di Catania, Milano e Rende, tanto che i sindacati hanno chiesto in questi mesi perché non fosse possibile riequilibrare le commesse da un sito all’altro (l’azienda risponde che spesso non è possibile per i vincoli posti dai contratti siglati, i costi della tecnologia e la perdita di produttività nell’eventuale riconversione).

Il documento di Almaviva mette sotto accusa innanzitutto i concorrenti più spregiudicati: quelli che delocalizzano senza rispettare i vincoli posti dalla Ue sulla normativa per la privacy, e che possono arrivare a risparmiare «fino al 70% sul costo del lavoro» rispetto a un’impresa che in Italia applica le leggi e i contratti. Il j’accuse si estende anche alle autorità politiche e agli enti ispettivi, che non effettuano adeguati controlli, per quanto annunciati da tutti gli ultimi governi. Ma sui call center c’è anche un “effetto Renzi”: gli incentivi al Jobs Act per le nuove assunzioni si sono rivelati deleteri per le società già affermate e con occupazione stabile e anziana, visto che «l’uso non corretto» da parte di nuovi soggetti (o di chi con spregiudicatezza ha licenziato i vecchi operatori) ha messo improvvisamente sul mercato concorrenti ultra-competitivi e low cost.

Più genericamente, infine, si fa riferimento al costante calo delle tariffe richieste dai committenti, non andando a toccare direttamente (come è comprensibile se ci si mette dal punto di vista di un’azienda che parla dei propri clienti) uno dei nodi, anche politici, più grossi e problematici del settore: gli appalti al massimo ribasso messi a bando, anche di recente, da gruppi a controllo pubblico come Poste ed Enel. Spesso così sfacciatamente cheap da non coprire il costo dei contratti nazionali di lavoro e le tutele minime.

I sindacati: «Palazzo Chigi agisca subito»

E proprio al governo si appellano i sindacati, che da oggi effettueranno assemblee in tutti i posti di lavoro e presto si mobiliteranno. Ma i giorni sono contati: i 75 previsti dalle procedure, per tentare un eventuale accordo, e poi si resta a casa. Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom chiedono all’esecutivo «un Patto di settore»: non solo il governo dovrebbe vigilare realmente sul comparto (da anni si annunciano ispezioni e giri di vite, ma non sono mai arrivati), ma dovrebbe anche chiamare i committenti, in special modo quelli pubblici, a un’assunzione di responsabilità.

«Anche le istituzioni hanno la loro fetta di responsabilità – concludono i sindacati – Serve un patto tra committenza (oltre il 70% delle attività è generato dalle dieci più grandi imprese di servizi del Paese), imprese fornitrici e parti sociali che consenta di scongiurare le migliaia di licenziamenti».

La viceministra Bellanova: «L’azienda ritorni sulle sue decisioni»

L’esecutivo si definisce «preoccupato» e chiede l’immediato ritiro dei licenziamenti: «Il governo è preoccupato dalla decisione della società Almaviva di aprire la procedura di mobilità per tremila lavoratori di call center. Invitiamo l’azienda a fermarsi. Chiediamo una moratoria immediata dei licenziamenti annunciati – dice Teresa Bellanova, viceministra allo Sviluppo economico, in una nota – Ho convocato il tavolo sui call center, il governo ha messo a disposizione ammortizzatori sociali fino al 2017 e soluzioni per dare una decisa sterzata al settore, dal nuovo codice degli appalti, all’inasprimento delle sanzioni per chi delocalizza, norma ribadita con un emendamento al ddl Concorrenza, in cui viene estesa la responsabilità in solido tra chi affida a terzi e il gestore per qualsiasi violazione. Ho convocato tutte le imprese committenti chiedendo il rispetto dei contratti di lavoro nei bandi. Almaviva sta ignorando tutto questo scegliendo la strada più facile e drammatica».

«Abbiamo tolto dalla base di calcolo dell’Irap il costo del lavoro a tempo indeterminato che per le aziende del settore incide maggiormente, abbiamo messo in discussione una volta per sempre il massimo ribasso sugli appalti e ci siamo mossi per finanziare la solidarietà e la cassa integrazione con un intervento per coprire fino al novembre 2017 – conclude la viceministra allo Sviluppo economico – Approvata la clausola sociale è ora affidata alla contrattazione tra le parti, per garantire i posti di lavoro preesistenti. I soldi ci sono per affrontare le criticità del settore e c’è un tavolo riconvocato con le parti sociali per il 18 aprile. Tutte cose che sanno anche i manager di Almaviva».

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