Cultura

La scrittura che ripara traumi crea connessioni

La scrittura che ripara traumi crea connessioni

Scaffale «Autobiografie», per Mimesis il primo numero di una nuova rivista. Ricerche, pratiche ed esperienze del centro studi «Athe Gracci» e della «Lua» di Anghiari

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 22 ottobre 2020

A due anni dalla fondazione del Centro nazionale di studi autobiografici «Athe Gracci» e a venti dalla nascita della Lua – Libera università dell’autobiografia di Anghiari – la comunità che anima i laboratori, i seminari e gli eventi che fanno capo alla Scuola di scrittura del sé, si è dotata di Autobiografie (Mimesis, pp. 160, euro 14), una rivista che si propone come piattaforma comune ai Circoli regionali; uno strumento che connette le scuole, le biblioteche, le associazioni e le istituzioni che a vario titolo compongono la rete che gravita attorno alla scrittura autobiografica e biografica.

ALL’INTERNO DEL PERIODICO è possibile sfogliare un’agenda ricca di appuntamenti culturali e formativi e c’è un’accurata rassegna di letture a tema, ma soprattutto ci si trova la riflessione sulla scrittura come incontro tra identità differenti, come tramite tra individuo e comunità, come ponte tra l’autocoscienza e la formazione di cittadini educati all’alterità attraverso l’ascolto e la scrittura.

L’idea della rivista è nata lo scorso dicembre in seguito al primo Simposio internazionale sull’autobiografia organizzato ad Anghiari presso il Centro Athe Gracci. Durante il convegno è stato premiato lo scrittore e saggista francese Philippe Forest, che nella scrittura del romanzo Tutti i bambini tranne uno (apparso per Gallimard nel 1997 e nella traduzione italiana di Gabriella Bosco per Fandango, 2018) aveva dato voce alla tragica esperienza della perdita di una figlia, all’impotenza di fronte alla malattia, al dovere e al bruciore di raccontare le interminabili ore di attesa e cura, e il lacerante emergere della cruda consapevolezza della fine. A questo primo romanzo ne sono seguiti altri, sempre caratterizzati da una scrittura autobiografica sospesa tra la confessione e l’indagine interiore.

NEL DISCORSO di ringraziamento Forest ha lanciato agli astanti il dubbio: «I miei libri sono autobiografie?». Una provocazione che, raccolta da Benedetta Centovalli e Fabrizio Scrivano, ha avviato una riflessione teorica sul genere letterario dell’autofiction, poi portata avanti anche da altri relatori e infine racchiusa nella sezione «Dialoghi intorno all’autobiografia», che è anche il sottotitolo di Autobiografie.

«Forest – scrive Centovalli – ha ricordato in più occasioni l’affermazione di Louis Aragon che non c’è autobiografia che non sia un romanzo per chi la scrive e non c’è romanzo che non sia l’autobiografia di chi lo scrive. Realtà e finzione, racconto dell’io e invenzione sono universi porosi e sconfinanti, dove si costruisce il gioco del destino e dell’identità, per questo oggi si parla spesso di «exofiction», cioè romanzi nei quali si racconta la propria storia riflessa in quella di qualcun altro».

LA NARRAZIONE labirintica dell’io in cui lo scrivente deve destreggiarsi tra molti autoinganni, può dunque esser letta come una proposta etica di compartecipazione epistemica, perché, come ha sottolineato Scrivano, «qualche volta, tenere il filo della memoria è la specifica responsabilità della scrittura, ed anche la sua etica».

Il dibattito, nato al Simposio e approfondito nella rivista, riflette ed espande il concetto di scrittura come luogo d’incontro, teoria elaborata in origine da Duccio Demetrio – fondatore della LUA – che proprio in Autobiografie spiega come lo scrivere di sé da canone centripeto per eccellenza può trasformarsi in condivisione dell’esperienza, a patto che si intraprenda un percorso fondato sulla «modalità introspettiva dell’accorgersi di aver vissuto, di volerlo raccontare e di illudersi che questo lascito possa giovare a qualcuno». A tal proposito Caterina Benelli, che dirige e coordina la rivista, invita a riflettere che sempre «Noi siamo un colloquio» e per dialogare con gli altri dobbiamo prima conoscere noi stessi.

L’AUTOBIOGRAFIA, quindi, da semplice scandaglio del sé si proietta in una dimensione di cura diffusa e può essere riparazione del trauma ma anche un sistema per ricucire la società. In questo senso, nella collettività disattenta e sfilacciata di oggi, attuare i metodi autobiografici in campo educativo, clinico e sociale, promuovendo cioè l’ascolto e il racconto a più livelli, è un vero e proprio atto politico. Infatti, dice Benelli: «In un presente interconnesso, nel quale i flussi migratori determinano convivenze urbane di complessa gestione e incontri/scontri di cultura ai quali siamo poco preparati, la scrittura autobiografica può costituire un’àncora e un ponte».

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