Rinascita è la parola designata. E la si respira in ogni fiato, in ogni discorso, in ogni dedalo di strade, nelle sontuosità dei palazzi rimessi in vita in quella che è stata proclamata Capitale italiana della cultura 2026. «È una città per cuori forti, ancora incompleta»: la marchia così Stefania Pezzopane, ex deputata Pd, ora all’opposizione in Consiglio comunale. Sono 15 anni, oggi, dal 6 aprile 2009, quando L’Aquila fu devastata dal terremoto. «Alle 3.32 – ricorda l’Ordine dei Geologi d’Abruzzo con il presidente Nicola Labbrozzi – una scossa di magnitudo 6.3, con epicentro nella zona compresa tra le frazioni di Roio Colle, Genzano di Sassa e Collefracido, colpì la nostra regione, interessando l’area a cavallo tra Italia Centrale e Meridionale». Significò la devastazione del capoluogo d’Abruzzo e segnò altri 56 comuni. Ci furono 309 morti, oltre 1.600 feriti e 80mila sfollati. I danni furono di circa 10 miliardi di euro.

NEI MESI SUCCESSIVI, con molti cittadini che trovarono un tetto nei Map (moduli abitativi provvisori) partì la farraginosa ricostruzione che è andata avanti a fatica, tra sprazzi di proteste, ma senza interruzioni. «Sulla mia pelle, sulla nostra pelle, ci sono tutti i segni di questi difficili anni. Quello più profondo e che fa male è la ferita delle vittime, fermate per sempre dalla violenza di quei pochi secondi e da edifici insicuri e fragili trasformati in tombe – fa presente Pezzopane -. Innanzitutto ricordiamo loro, ci stringiamo attorno alle famiglie e alla comunità in lutto e ci impegniamo perché non accadano mai più tragedie così dolorose». Nella notte si è ripetuta la fiaccolata: un lungo serpentone nel cuore di L’Aquila, per via XX Settembre, toccando la Casa dello Studente, fino al Parco della Memoria.

TRE LUSTRI, un lungo tempo – evidenzia Pezzopane – «di passione, di battaglie, di conquiste ottenute, di lotta. Ero presidente della Provincia in quei giorni di dramma, quando tutto crollò. Eravamo disperati ma pieni di dignità e convinti che ce l’avremmo fatta. Qui vennero da ogni Paese del mondo, persino Obama e i grandi del G8. Abbiamo combattuto contro l’oblio e l’impreparazione dello Stato».

Uno scorcio tra le vie de L’Aquila foto Lorenzo Di Cola/Getty Images
Uno scorcio tra le vie de L’Aquila foto Lorenzo Di Cola/Getty Images

MOLTO È STATO FATTO, grazie anche ad apposite leggi per la ricostruzione, per i finanziamenti, anche con il Fondo complementare del Pnrr, per il sociale, per l’economia di un territorio che, in una manciata di attimi, ha svelato interamente la propria vulnerabilità. Mette in guardia Labbrozzi: «Il 100% dei comuni abruzzesi è a rischio sismico, come dimostrano gli studi effettuati. Taiwan invita a una profonda meditazione! Il terremoto nell’isola asiatica, nella sua drammaticità, ci conferma che una buona progettazione e un consapevole utilizzo del territorio possono consentirci di gestire i rischi ed evitare la fine di città e culture». Al momento – stando ai dati del Gran Sasso Science Institute – sono 22.726 gli interventi di ricostruzione pubblica (625) e privata (22.101) avviati complessivamente nei comuni del cratere: l’86% sarebbe arrivato a conclusione.

A L’AQUILA, dice invece l’Ufficio speciale per la Ricostruzione, sono 20.626 le unità immobiliari sulle quali si è in qualche modo intervenuti. «La ricostruzione privata – spiega Pezzopane – è quasi completata, ma in alcuni piccoli centri è ferma. Basta andare nelle frazioni dell’Aquila. E poi la ricostruzione pubblica, specie qui, è in forte ritardo: scuole al palo, teatro comunale, teatro San Filippo, cinema Massimo, per citare alcune importanti strutture, la biblioteca provinciale, che prima ospitava centinaia di giovani, sono ancora da completare e da riaprire al pubblico. Il centro storico rischia di diventare sempre più un “consumificio”, il giorno quasi deserto e la sera si va a bere. Purtroppo solo attività commerciali non restituiscono la vita vera che c’era prima». Ci sono tanti ragazzi che non sono mai stati in un vero istituto scolastico, che hanno sempre studiato nei Musp, moduli provvisori. Erminio Cavalli, docente di Lettere e storia dell’Arte: «Dopo quella notte, tutto sembrava perso.

La mia città, le sue chiese, le sue fontane, i suoi silenzi magici, i bofonchi sonnacchiosi della gente, i suoi 99 rintocchi smarriti dentro un grande, immenso boato. Mi tremava il cuore attraversarla, sorretta, ovunque, da scheletri di curiose impalcature. Ma la mia L’Aquila, dalle sue macerie, è tornata a risorgere. Tutto il mondo l’ha scoperta, l’ha osservata ricrescere, mattone dietro mattone. Ma nessuno ha dimenticato quella terribile notte. E parte dell’Aquila che fu non potrà mai più tornare». E poi c’è Marcella Dal Vecchio, che sta nei moduli di Coppito 2 e aspetta di riavere la sua casa in centro: «In Via Vetusti, ma che ne parliamo a fare… Non serve. Chissà se mai la riverdrò».

«PRIMA – afferma il sindaco, Pierluigi Biondi – guardavamo in basso o davanti a noi. Oggi alziamo gli occhi per riconnettere la nostra anima con la rifioritura della città. Idee, progetti, realizzazioni… hanno saputo tradurre i graffi dell’anima in opere d’arte, il sentire collettivo in uno straordinario ritmo urbano. Quindici anni fa ognuno di noi aveva un’altra età, altri obiettivi, altre aspirazioni, altri amori, altri amici…». La mente va indietro: «Al centro storico inagibile, la sinistramente famosa zona rossa, le tendopoli gestite attraverso rigidi controlli, il trasferimento verso la costa… Ricordare tutto – prosegue Biondi – questo ci porta alla libertà sospesa che abbiamo vissuto, alle vittime che abbiamo pianto, alla città perduta, alla complessa fase di ricostruzione, al sentimento di smarrimento per le case abbattute. Quei pochi secondi di angoscia e di paura, hanno cambiato le nostre esistenze, avviluppandole in una spirale di sofferenza e di sconforto, che però ci ha temprati».