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L’azzardo hascemita: combattere l’Isis con gli ideologi di al Qaeda

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Giordania Dopo la liberazione del leader salafita al Maqdisi, Amman adotta la pericolosa strategia degli islam radicali contrapposti

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 7 febbraio 2015

Combattere lo Stato islamico con l’aiuto di al Qaeda. Drenare consensi al Califfo mobilitando gli ideologi qaedisti che ne contestano la legittimità. E’ una strategia pericolosa, potenzialmente incendiaria, quella delle autorità giordane, che due giorni fa hanno rilasciato dal carcere Abu Mohammed al Maqdisi, ideologo salafita, mentore dell’ex leader di al Qaeda in Iraq Abu Musab al Zarqawi, e aperto sostenitore dell’attuale numero uno dell’organizzazione fondata da bin Laden, l’egiziano Ayman al Zawahiri.

Ci si aspettava che al Maqdisi criticasse lo Stato islamico, e non ha deluso le aspettative: appena rilasciato ha attaccato duramente gli uomini dell’Isis per l’esecuzione del pilota giordano Moaz al Kassasbeh, definendola “inaccettabile per ogni religione”. Aggiungendo poi di essere stato protagonista di una trattativa segreta per la liberazione del pilota, in cambio della scarcerazione della mancata kamikaze Sajida al Rishawi. Trattativa fallita a causa dell’intransigenza degli uomini del Califfo (ma Abu Khabbab al Iraqi, noto sceicco dell’Isis, ha già contestato questa ricostruzione).

Già prima della liberazione di al Maqdisi – ricorda su The National l’analista Hassan Hassan, autore con Michael Weiss di un recente, importante libro sullo Stato islamico,ISIS. Inside the Army of Terror – l’uccisione del pilota giordano aveva provocato molte critiche tra i militanti islamisti, perfino tra i simpatizzanti della causa del Califfo. Lo stesso Abu Sayyaf, tra i leader dei salafiti giordani, uomo nient’affatto incline ai sentimentalismi, aveva criticato il metodo dell’omicidio e la diffusione del video. Lo Stato islamico è corso ai ripari, chiedendo ad “al-Eftaa wa al-Buhuth”, il Comitato a cui spetta legittimare le decisioni dell’Isis con rimandi al corpus dottrinario islamico, di trovare appigli religiosi. Il comunicato che ne è uscito – tradotto e reso pubblico dall’analista Aymenn Jawad Al-Tamimi – non è servito a molto. Le critiche sono continuate.

La maggior parte di queste sono innocue per il Califfo. Ma le parole di al Maqdisi hanno un peso diverso. Perché è uno dei predicatori più letti, ammirati e citati nell’ampia letteratura del jihadismo transnazionale, e perché attorno a lui e al suo sodale Abu Qatada, altro predicatore giordano-palestinese, si è consolidata gran parte della battaglia interna al fronte jihadista, quella che vede contrapposti al Qaeda e lo Stato islamico. Al Maqdisi è stato infatti tra i primi ideologici di peso a contrastare le pretese del Califfo: nel gennaio dell’anno scorso ha denunciato le fatwe dell’allora Stato islamico di Iraq e Levante – che obbligavano i musulmani a riconoscere l’autorità di al Baghdadi – come causa di divisioni sanguinose, perché sollecitavano i jihadisti “a disobbedire agli ordini delle autorità, in particolare a quelli dello sceicco Dottor Ayman al Zawahiri”.

Nel maggio 2014, mentre scontava una condanna a cinque anni e prima ancora che lo Stato islamico conquistasse la città irachena di Mosul, ha reso pubblica una dichiarazione, fatta circolare online dal fronte al Nusra, affiliato ad al Qaeda, in cui definiva lo Stato islamico “organizzazione deviante”, “aggressore dei mujaheddin” e nella quale criticava aspramente il versamento di sangue musulmano.

Proprio sulla questione della legittimità di uccidere altri musulmani per il jihad, i militanti islamisti si dividono da tempo. Già negli anni Ottanta il palestinese Abdallah Azzam, mentore di Osama bin Laden, ispiratore di molto islamismo politico contemporaneo, credeva che il jihad andasse combattuto contro i miscredenti, non all’interno della comunità dei fedeli. E anche per questo si mise in rotta di collisione con al Zawahiri, con cui gareggiava ferocemente per ingraziarsi i denari e le attenzioni dello sceicco saudita. Il 24 novembre 1989 Azzam, autore di un fondamentale testo-manifesto per i mujaheddin afghani, saltò in aria a Peshawar: 20 chili di tritolo. Il mese successivo uno dei figli, Huthaifa Azzam, si sarebbe recato all’aeroporto di Peshawar per accogliere un gruppo di combattenti arabo-afghani, soprattutto giordani: tra questi, c’era al-Zarqawi. Proprio in Pakistan, il futuro leader di al Qaeda in Iraq e vero “padre-fondatore” dello Stato islamico avrebbe conosciuto al Maqdisi, l’uomo rilasciato due giorni fa dalle autorità giordane.

Nel 1994 Zarqawi e al Maqdisi sarebbero stati condannati, insieme, da una corte giordana a 15 anni di prigione per attività terroristiche, poi liberati in seguito all’amnistia del 1999 voluta dal nuovo re, Abdallah II. Dopo un lungo sodalizio, le loro strade si sarebbero divise, e al Maqdisi sarebbe arrivato a criticare apertamente le atrocità compiute dal suo ex allievo contro i musulmani. Oggi il regno hashemita sembra volersi affidare a questo predicatore radicale, mentore di uno dei più spietati leader della guerriglia jihadista, per drenare consensi allo Stato islamico. Insieme a lui, come in passato forse verrà concessa visibilità al predicatore Abu Qatada, vicino ad al-Qaeda, che con al Maqdisi ha condiviso studi, riflessioni e soprattutto attacchi al Califfo.

Nei suoi confronti, Abu Qatada è perfino più critico di al Maqdisi. In prigione ha redatto un testo, “Lo stile del Califfo”, in cui dimostra, citazione dopo citazione, come la proclamazione del Califfato da parte di Abu Bakr al Baghdadi sia illegittima dal punto di vista religioso. Da qui, l’invito ai veri musulmani a non seguirne le regole. E una stoccata finale: lo Stato islamico è “un movimento eretico”. Qualche settimana dopo è tornato all’attacco, dando ai membri dello Stato islamico dei “cani dell’inferno” e al Califfo in persona del “bugiardo deviante”. Se il re Abdallah II crede di poter sconfiggere lo Stato islamico mettendogli contro gli ideologi di al Qaeda ha fatto male i conti. Sul breve termine potrebbe avere ragione. Ma sul lungo termine rischia di radicalizzare ancora di più gli islamisti, in casa sua e altrove. Secondo gli autori di ISIS. Inside the Army of Terror, i fratelli Kouaci avrebbero letto attentamente gli scritti di al Maqdisi, prima di irrompere nella redazione del settimanale Charlie Hebdo.

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