Economia

La scommessa del governo sulla roulette della crescita

La scommessa del governo sulla roulette della crescita

Legge di bilancio Per il 2019 l’esecutivo punta all’1,5% sul Pil, una stima contestata. I Cinque Stelle e Di Maio attaccano il Pd: «La stima dell’Istat sulla crescita allo 0,8% del Pil dipende dalla loro manovra precedente». Renzi: «Fermatevi». La manovra arriva oggi, con ritardo, alla Camera

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 31 ottobre 2018

Hanno masticato e sputato insulti i pentaleghisti e il Pd nell’attribuirsi le responsabilità della stagnazione economica rilevata dall’Istat nel terzo trimestre dopo tre anni di crescita senza occupazione fissa (0,8% sul Pil il tendenziale, l’1% la variazione acquisita). «Falliti», «scellerati» si è letto sul «blog delle stelle». «La vostra politica suicida e masochista del governo» ha risposto Matteo Renzi in una diretta Facebook.

LA VERITÀ STA NEL MEZZO e le responsabilità vanno ripartite, anche se non ancora in parti uguali. Per questo c’è tempo fino alla metà dell’anno prossimo. Poi, dati alla mano, si vedrà se la manovra che entra in ritardo alla Camera sarà stata davvero «espansiva» come ha ribadito ieri il presidente del Consiglio tra un viaggio in India e un ritorno precipitoso a Palazzo Chigi per un vertice notturno.«Era tutto previsto» ha detto Conte. Nel frattempo Salvini si connetteva da Doha in Qatar, e non dal consueto tetto del Viminale, per cannoneggiare la post-verità di regime: «Se il Pil rallenta è perché quelli che c’erano prima avevano il “braccino” e ubbidivano alle richieste di Bruxelles. è un motivo in più per tirare avanti dritti». Il gioco è quello di chi si ferma prima del burrone. Salvini si fida dei suoi riflessi in vista delle Europee di maggio 2019.

NELLA POLEMICA A COLPI di decimali ieri i Cinque Stelle hanno colto un elemento di realtà quando scrivono che l’Italia è uscita dalla recessione nel 2014 grazie alle esportazioni, e alla ripresa della manifattura. Il Pd ha bruciato la flessibilità concessa da una commissione Ue, molto più favorevole al diversamente populista Renzi che agli ultimi arrivati, in bonus per le imprese (18 miliardi in tre anni per il Jobs Act), peri il lavoro dipendente (9 miliardi all’anno degli 80 euro), più altre mance che non hanno portato risultati significativi. Nessuno dei gravi problemi strutturali è stato risolto, mentre un oceano di denaro è stato buttato dalla finestra e gli investimenti hanno latitato. «Ora questi falliti – scrivono i Cinque Stelle sul blog con gravità di penna – provano a rifarsi la verginità attribuendo ad un governo in carica da pochi mesi i risultati negativi di quest’anno». Dall’altra parte il fuoco di fila dei dichiaratori del Pd hanno sorvolato sull’andamento del Pil, largamente prevedibile già a inizio anno, oltre che sulle più che ottimistiche previsioni del Def in versione Padoan-Gentiloni. E hanno scagliato contro il governo attuale le valutazioni negative dell’intero mondo delle autority indipendenti nazionali e internazionali. Si sono soffermati sull’aumento dello spread da 130 a circa 300, rimuovendo le proprie responsabilità e scaricando sulle spalle dei pentaleghiste il peso della situazione.

GLI ELEMENTI DI INCERTEZZA sono enormi. Stimare oggi, alla luce dei dati Istat, una crescita all’1,5%, partendo da uno 0,8%, è avventuroso. Soprattutto puntando su un ritorno di fiamma degli investimenti pari allo 0,2% del Pil e sugli 85 miliardi di euro sbloccati da un’intesa con le regioni. Cifre ricordate ieri dal viceministro all’Economia Garavaglia che ricordano numeri simili sventolati nel recente passato dagli omologhi ministri del Pd, senza molti risultati. Dal governo assicurano di stare lavorando per «rimuovere gli ostacoli burocratici», anche se è lecito dubitare che questo avverrà in tempo utile per il raddoppiamento della crescita stimato per l’anno prossimo.

SE NE PARLA POCO in questi giorni, ma il governo sembra essere prudente anche rispetto alle sue mirabolanti prospettive di crescita. In una delle bozze della manovra è stato infatti prospettato una via di fuga rischiosa. Si chiama «scivolamento fiscale»ed è un modo per occultare la spesa e non farla incidere subito sul deficit al 2,4%, quello che il ministro dell’Economia Giovanni Tria avrebbe preferito non portare così in alto. Tale prudenza dovrebbe dimostrare ai feroci critici europei che i conti pubblici sono al sicuro. Le risorse saranno prese dal posticipo del sussidio di povertà detto impropriamente «reddito di cittadinanza» ad aprile e da un vociferato rinvio, motivato per difficoltà amministrative, delle pensioni «quota 100».

LE RISORSE non investite nei primi tre-quattro mesi del 2019 andranno così contabilizzate nel 2020, alleggerendo di qualche decimale il deficit. Dopo le Europee di maggio 2019 toccherà trovare nuove risorse, ben sapendo che il livello del deficit dovrà abbassarsi dal 2,4% al 2,1%. Il governo dà per scontato che le risorse arriveranno da una crescita sulla quale sono in pochi a scommettere. Se la crescita non arriverà all’1,5% del Pil inizieranno i guai veri e scatteranno altre clausole di salvaguardia. Non si tratta di quelle necessarie per «sterilizzare» l’aumento dell’Iva – nell’attuale manovra occupano oltre 12 miliardi di euro – ma altre che interverranno sulla spesa con tagli mche andranno a colmare le risorse non ottenute a causa del fallimento degli obiettivi fissati nella manovra.

I FONDI RISPARMIATI dal posticipo dell’applicazione di «quota 100» e del sussidio di povertà potranno compensarsi nel prossimo triennio, ma potranno anche andare verso altre destinazioni. Ad esempio il contenimento del deficit e la compensazione per la mancata spesa. Su questa rischiosa scommessa si gioca tutta la partita di una legge di bilancio contestata.

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