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La scienza vecchia della senatrice Cattaneo

La scienza vecchia della senatrice Cattaneo

Agricoltura Negli anni '20 e '30, grandi agronomi tedeschi hanno studiato e sperimentato, in Europa e negli Usa, avviando una scienza alternativa all'agricoltura chimica

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 2 giugno 2021

Capisco, ma solo fino a un certo punto, l’indignata requisitoria che la senatrice Elena Cattaneo ha svolto contro l’agricoltura biodinamica il 20 maggio al Senato. Neanche io credo nell’efficacia dei preparati biodinamici. Per mentalità e formazione culturale diffido istintivamente dalle impostazioni esoteriche. Tuttavia io ho avuto modo di conoscere molti agricoltori biodinamici, non solo europei e americani, ma anche australiani. Grazie a Terra Madre, l’iniziativa promossa da Carlo Petrini, a Torino, ne ho conosciuti non pochi, i quali, di fronte alla mia incredulità, hanno vantato con entusiasmo il successo delle loro pratiche. Ho talora assaggiato ortaggi coltivati in aziende biodinamiche e posso testimoniare che quanto a intensità di sapore sono di gran lunga superiori a qualunque consimile prodotto da agricoltura industriale.

Sono solo esperienze soggettive, certo. Ma queste hanno trasformato la mia incredulità in perplessità. E credo che ci sia più attitudine scientifica nella mia perplessità, che fa i conti con la realtà, col successo imprenditoriale di centinaia di migliaia di agricoltori in tutto il mondo, che non nell’astioso dileggio della senatrice Cattaneo, che si misura solo con le parole.

Ma l’errore fondamentale della senatrice è di credere che l’agricoltura biodinamica si esaurisca nelle pratiche che lei deride. In realtà l’uso dei preparati, ereditati dalle lezioni di Rudolf Steiner del 1924, sono solo un aspetto di quelle pratiche. Gli agricoltori biodinamici non sono rimasti a Steiner. Per tutti gli anni ’20 e ’30, alcuni grandi agronomi tedeschi hanno compiuto studi ed esperienze sul campo sia in Europa che negli Usa, avviando una scienza alternativa all’agricoltura chimica. Forse il maggiore esponente di questa scuola – formatosi in una Germania in cui numerosi scienziati hanno studiato per decenni la natura dell’humus – è Ehrenfried Pfeiffer, l’autore de La fertilità della terra (1938).

Uno dei principi fondamentali di questo testo, che considera il “terreno agricolo un essere vivente”, e di tutta l’agronomia biodinamica, è che “la salute delle piante dipende dalla salute del terreno, dalla sua fertilità”. Ed è questo il segreto del successo di tale modello di produzione.

Non sono in grado di dire che ruolo svolgano i preparati, ma è certo che nessuno quanto gli agricoltori biodinamici curano la fertilità del suolo, proteggono l’humus, ne garantiscono la stabilità. Ed è questo che sta alla base di tutto. Allorché le persone della mia generazione, assaggiando un frutto senza sapore dei nostri giorni, ricordano la sapidità di quelli di un tempo, non è per una illusione psicologica da nostalgia. La ragione è che dopo decenni di concimazione chimica, quella propugnata dalla senatrice Cattaneo, i suoli agricoli hanno perso molta parte della loro sostanza organica, così che le piante si nutrono direttamente coi sali dei fertilizzanti.

Gli agronomi francesi Claude e Lydia Bourguignon hanno ricordato come in varie aree della Francia, dopo decenni di concimazione e di diserbo chimico, i vini hanno perso il sapore del terroir, dei minerali contenuti nella roccia madre, e i viticultori abbiano dovuto far ricorso alle manipolazioni degli enologici per ridare un sapore chimicamente “truccato” a vini ormai inerti e un tempo impareggiabili.

Una ricerca pubblicata su Science il 31 maggio 2002, che comparava 21 anni di raccolti di aziende biodinamiche, biologiche e convenzionali mostrava un meno 20% di prodotto delle prime, ma meno tra 33% e 53% di consumo di energia e fertilizzanti e meno 97% nell’uso di pesticidi.

L’Agenzia Europea dell’Ambiente ha di recente sostenuto che la contaminazione del suolo per l’uso dei fertilizzanti chimici e i residui dei fitofarmaci “può entrare nella catena alimentare, minacciare la salute umana, risultare tossica per gli organismi viventi che vi dimorano” (2020). E allora, come fa Cattaneo ad affermare che i prodotti da agricoltura biologica “non hanno migliori caratteristiche nutrizionali, né hanno migliore cura dell’ambiente?” Non sa la senatrice che l’agricoltura da lei difesa si fonda su un bilancio energetico completamente passivo, consuma ingenti quantità di petrolio? Che la concimazione chimica inquina le falde idriche, è responsabile della degradazione dei suoli, con perdita di terre fertili in tutto il mondo e su cui esiste una letteratura sterminata?

E ignora che agricoltura e allevamenti contribuiscono almeno per il 30% al riscaldamento climatico? Non sa che, dopo gli oceani, il suolo è il più grande deposito di carbonio del pianeta e che le agricolture organiche non solo conservano la fertilità, ma consumano meno acqua, meno energia, catturano carbonio e limitano la produzione di gas serra?

In realtà la posizione della senatrice Cattaneo è interna al vecchio paradigma della scienza moderna, fondato, come ha mostrato Edgar Morin, sul “principio di isolamento e di separazione nei rapporti fra l’oggetto e il suo ambiente”. I concimi chimici vengono valutati sulla base del loro successo produttivo, senza considerare ciò che succede al suolo, alle acque, al clima, alla salute degli organismi viventi, uomini compresi. Così tutta l’agricoltura, immaginata fuori dalla biosfera, deve solo ubbidire alla crescita, non importa se, intorno all’azienda (o al laboratorio della scienziata), il pianeta collassa.

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