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La scienza-show che serve ai ricercatori

Elon MuskElon Musk

Materia oscura La scienza non è democratica. Ma per gli scienziati inseguire il consenso attraverso i media è parte del mestiere

Pubblicato 5 mesi faEdizione del 31 maggio 2024

Quattro mesi fa tutti i media parlavano della prima installazione su un essere umano, il tetraplegico Noland Arbaugh, di un chip capace di decifrare i segnali cerebrali e trasformarli in istruzioni. L’aveva realizzato la Neuralink, una delle aziende di Elon Musk che punta a permettere alle persone di azionare dispositivi digitali col pensiero. Assai meno risalto ha ricevuto la notizia di pochi giorni fa, secondo cui l’85% degli elettrodi che collegavano il cervello di Arbaugh al chip Neuralink si è scollegato spontaneamente mettendo a rischio l’intero esperimento (al momento ancora in corso).

È andata peggio al sessantaduenne Richard Slayman, che nello scorso marzo ha ricevuto il primo trapianto di un rene prelevato da un maiale geneticamente modificato. Secondo i media di tutto il mondo era una svolta rivoluzionaria, perché la disponibilità di organi animali a prova di rigetto avrebbe fatto dimenticare la penuria di organi umani adatti ai trapianti. Due mesi dopo l’intervento, però, Slayman è morto lontano dai riflettori. Secondo i medici le cause non sarebbero legate al trapianto. Però altri due pazienti che hanno subito interventi simili sono morti poco dopo il trapianto. Quello degli xeno-trapianti rappresenta un filone scientifico promettente, ma probabilmente c’è più strada da fare di quanto si voglia far credere.

La distanza tra annunci e realtà non appartiene solo alla medicina. Qualcuno ricorderà il clamore che seguì l’annuncio mondiale dell’esperimento realizzato al National Ignition Facility statunitense nel 2022, in cui la luce laser innescò una reazione di fusione nucleare che generò più energia di quella necessaria per avviarla. Secondo molti media era più vicino «il sogno dell’energia pulita». L’obiettivo invece sembra allontanarsi. Il reattore sperimentale più avanzato nel campo, l’Iter in costruzione in Francia grazie a una collaborazione di oltre trenta governi, sta rivedendo per l’ennesima volta la sua tabella di marcia, che ha già accumulato decenni di ritardi e ora deve scontare l’abbandono del progetto da parte del Regno Unito che non ci crede più.

Per gli scienziati, conquistare le prime pagine con scoperte vere o presunte è ormai un obiettivo professionale e non solo un gioco vanitoso. Sulla carta, non è con i titoli sui giornali che si vincono cattedre e finanziamenti. Ma la comunicazione pubblica della scienza serve eccome, magari per via indiretta. Molte analisi mostrano che gli studi pubblicizzati sui social network sono più letti dagli scienziati stessi e diventano dunque più influenti. Le ospitate televisive attraggono studenti e le loro rette annuali. E negare finanziamenti a scienziati noti al grande pubblico è più difficile per le istituzioni. Non si decide per alzata di mano se la forza di gravità esiste, come ripete spesso il dottor Burioni, ma lo scienziato capace di aggregare consensi ha la strada in discesa.

Katalin Karikò, la biochimica e premio Nobel che ha messo a punto la tecnologia dell’mRna sfruttata dai vaccini anti-Covid, racconta nella sua autobiografia Nonostante tutto (Bollati Boringhieri, 2023) che all’inizio della carriera l’università della Pennsylvania le richiedeva di «vendere se stessa e il proprio lavoro, attrarre finanziamenti, compiacere le persone e coltivare le relazioni sociali (…) Cose che non mi interessavano, e che non pensavo che dovessero interessarmi». Karikò è una scienziata straordinaria ma con i media e la finanza non ci sa fare. Così ha rischiato di essere buttata fuori dalla comunità scientifica. Ne avremmo fatto le spese tutti: facciamo che non serva ogni volta una pandemia per scansare la fuffa e far emergere la scienza che vale sul serio.

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