La schizofrenia del sistema bancario europeo
Nuova finanza pubblica La rubrica settimanale a cura di Nuova finanza pubblica
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Dopo la crisi il sistema bancario europeo sembrava essersi ripreso. Da tempo, infatti, è in corso un’intensificazione dell’attività di vigilanza della Bce e si è affermata una frenetica attività di attori specializzati per acquistare a prezzi scontati crediti dubbi che finiscono per uscire dai bilanci delle banche in difficoltà. Nonostante tutto questo, il sistema bancario europeo appare fragile e sembrerebbe particolarmente a rischio nel caso si verificasse un’altra fase recessiva.
I dati sul rallentamento continentale, dunque, preoccupano molti analisti.
L’Economist la scorsa settimana ha definito significativamente le banche europee «la terra dei morti viventi», sottolineando come esistano ancora quote eccessive di crediti deteriorati nelle banche di Cipro, Grecia, Italia e Portogallo e come in Germania un difficile percorso di fusione in atto tra le due banche principali, Deutsche Bank e Commerzbank, e abbia messo in evidenza come le banche europee siano meno redditizie delle loro corrispondenti statunitensi. I rendimenti del capitale netto in Europa nel 2018 hanno ruotato intorno al 6,5% mentre negli Usa tale cifra quasi raddoppia passando al 12%.
Il settimanale britannico denuncia anche il modesto grado di innovazione tecnologica e gli eccessivi costi, finendo per suggerire ulteriori ristrutturazioni e tagli. Ma il quadro proposto risulta allarmante, soprattutto se si pensa a come il Vecchio Continente sia banco-centrico e come gli istituti europei siano di gran lunga il principale strumento di finanziamento per l’impresa.
Un segnale a doppia lettura, poiché una buona parte delle debolezze del sistema del credito deriva dagli affanni dell’economia reale, in cui la modesta domanda di credito e la timidezza delle imprese parlano implicitamente di un quadro economico in evidente contrazione rispetto alla pur modesta ripartenza degli ultimi anni.
A fronte di queste difficoltà il sistema bancario sembra reagire con un atteggiamento schizofrenico. Il cuore produttivo continentale, la Germania, necessita di un campione nazionale del credito in supporto alle proprie multinazionali, ma i due principali istituti non sono all’altezza del compito. Deutsche per la prima volta dopo tre anni presenta un bilancio in attivo, ma con una redditività del capitale che raggiunge un modestissimo 0,4%. Per fare un paragone la svizzera Ubs ha una performance del 9,5%.
Commerzbank durante la crisi è stata salvata con soldi pubblici e lo Stato detiene ancora il 15% del capitale. Il processo di fusione non è certo in discesa, l’adagio di Josè Saramago secondo cui «due debolezze non fanno una debolezza maggiore, ma una forza» non sembra fare al caso delle due banche tedesche. Tant’è che nelle incertezze sugli sviluppi del confronto tra i due istituti si incunea l’interesse dell’italiana Unicredit per l’acquisizione di Commerzbank.
Un interesse già emerso nel 2017 e che dovrebbe concretizzarsi, secondo le indiscrezioni del Financial Times, attraverso la banca Hypovereinsbank, istituto di medie dimensioni ancorato in particolare in Baviera e acquistato dalla banca italiana nel 2005. Indubbiamente Unicredit per patrimonializzazione e attivi rappresenta un soggetto più robusto di Commerzbank, ma come questa operazione possa soddisfare le necessità di consolidare il sistema creditizio di uno dei principali centri produttivi a livello globale resta un poco un mistero.
La sequenza di acquisizioni che hanno caratterizzato la recente storia del sistema bancario italiano non è riuscita a consolidarlo in misura adeguata, anzi in alcuni casi è stata una medicina peggiore del malanno. La condotta delle banche europee complessivamente appare piuttosto scomposta, con processi di concentrazione in corso difficili o poco credibili rispetto alla bassa crescita che si profila all’orizzonte.
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