La serie di ritratti femminili che, ad apertura di sipario, occupa l’intero fondale della scena ricorda la serie di ritratti degli zar di Russia – e l’ultimo era Gorbaciov – che nel 1994, a Salisburgo, apriva la rappresentazione del Boris Godunov di Musorgskij diretto da Claudio Abbado e messo in scena da Herbert Wernicke. Ma il senso è diverso. Là la serie di potenti che hanno dominato la Russia, qua le dame aristocratiche destinate alla ghigliottina. I rettangoli dei ritratti si trasformano via via che procede l’azione, in confessionali, corridoi di un carcere, ghigliottina: sconvolgente il velo bianco che crolla ad ogni testa di condannata che la ghigliottina tronca. In orchestra la sciabolata della lama che cade. Sulla scena il velo silenzioso che cade. È forse l’idea più geniale di una messa in scena per altri versi fuori tema.

INTENDIAMOCI, il teatro moderno può anche totalmente stravolgere il senso del testo rappresentato, ma allora che lo stravolgimento informi ogni momento dello spettacolo. Emma Dante, per questa messa in scena dei Dialogues de Carmélites, di Bernanos e Poulenc, che apre la stagione del Teatro dell’Opera di Roma, sceglie invece una rappresentazione nel complesso fedele alle indicazioni del testo e della partitura, salvo introdurre elementi marginali che però mutano totalmente il senso della rappresentazione. A cominciare dal profluvio di chiome femminili. Ora, al momento del voto, alle monache vengono tagliati i capelli, e così pure alle condannate alla ghigliottina. E che vorranno dire le corse in bicicletta, un rimpianto dell’infanzia perduta? «Chi erano le carmelitane prima del voto?» si chiede Emma Dante, presentando l’opera. «Il gesto della carmelitane è più poetico che fanatico». No, è una scelta di vita. Non è né poesia né fanatismo. Il settecento adombrato nei ritratti, sparisce nei costumi: adombrano donne guerriere e soldati quattrocenteschi: Giovanna D’Arco? Tuttavia lo spettacolo, bisogna riconoscerlo, è condotto con grande limpidezza ed è bello a vedersi. Il pubblico lo apprezza e applaude. Più coerente l’interpretazione musicale. Dirige Michele Mariotti, che penetra con sensibile intelligenza le infinite sfumature espressive della bellissima partitura. La lezione di Debussy si sente, ma Poulenc va oltre. Non ci sono temi veri e propri, e nemmeno motivi, ma piuttosto piccole cellule di uno, due intervalli, scanditi con ritmo variabile.

IL TESTO, splendido, di Bernanos, è assunto già con una sua conformazione musicale. Si sente la lezione di Monteverdi, più che di Debussy: la dizione del testo è già di per sé un evento musicale. L’influsso di Debussy è invece sovrano nel trattamento dell’orchestra. Ma anche di Stravinskij. Il miracolo – perché di una partitura miracolosa si tratta – sta nell’effetto di una tensione che cresce via via che procede l’azione senza però che intervengano colpi di scena, o esplosioni retoriche dell’orchestra. Qualche accordo più forte basta a suggerire o un dramma o una contraddizione del personaggio.
Impagabile l’omogeneità del cast sulla scena. A cominciare dagli interventi soavissimi del coro diretto da Ciro Visco. Ma vanno ricordati almeno la straordinaria Blanche di Corinne Winters, la drammatica Superiora di Anna Caterina Antonacci, la madre Maria di Ekaterina Gubanova e la sorella Costanza di Emöke Baráth, il Cavaliere De la Force di Bogdan Volkov. Perfetto l’equilibrio, in tutti, tra canto e recitazione o, meglio, tutti recitano cantando. Applauditissimi tutti. Da non perdere.