Visioni

La scatola dei sogni di Pat Metheny

Pat MethenyPat Metheny – foto Ansa

Musica Tappa romana per il musicista americano, ultimo concerto del Dream Box Tour

Pubblicato circa 5 ore faEdizione del 6 novembre 2024

La tappa capitolina del “Dream Box Tour” di Pat Metheny all’Auditorium Parco della Musica, ha una doppia valenza. Da un lato è l’ultimo recital in Italia del 70enne chitarrista-compositore-inventore che si è esibito a Genova, Udine, Brescia, Milano e Bologna. Dall’altro è il secondo appuntamento del 48mo “Roma Jazz Festival” (1°-23 novembre) che il direttore artistico Mario Ciampà ha costruito attorno al concetto di “Hybrid”, molto interno al jazz ma oggi ancor più caratterizzante, se possibile, considerando sia la moltiplicazione degli scenari jazzistici sia l’influenza della tecnologia e dell’Intelligenza Artificiale, con cui i jazzisti hanno già flirtato (sentire Steve Lehman con L’Orchestre National du Jazz).

Il recital è pensato in maniera quasi teatrale e riesce ad offrire uno spaccato del suo repertorio autoriale

IL JAZZ di oggi, e ancor più quello di domani – ha scritto Ciampà – è frutto della creatività post-globale” e dipenderà “dalla sua diffusione tramite le piattaforme social e dalle nuove tecnologie”. Se c’è uno che di tecnologie si intende in una visione, però, strettamente umanistica è proprio Pat Metheny. Il suo tour in solo – il primo che abbia mai realizzato – si colloca tra un album inciso in solitudine (Dream Box, 2023) e il nuovo disco MoonDial (2024).

IL RECITAL è pensato in maniera quasi teatrale e riesce ad offrire uno spaccato del repertorio autoriale di Metheny (da Last Train Home a Message to a Friend), delle sue qualità di eccezionale interprete (da I Fall In Love Too Easily a Here, There and Everywhere dei Beatles), del suo sperimentare e ricercare sonoro al pari della sua impellente creatività che attraversa i linguaggi ma coinvolge anche gli strumenti. Si è partiti da un set con tre chitarre – fra cui quella baritona su cui sta molto lavorando – circondato da quattro misteriosi cubi neri che, poi, hanno aperto il loro scrigno: un continuo alternarsi di strumenti soprattutto acustici, dalla chitarra Picasso a 42 corde (realizzata con la liutaia canadese Linda Manzer, sua collaboratrice da tempo) al sistema Orchestrion nascosto nei ‘cubi’ – e poi svelato nella parte finale del concerto – in cui una serie di sensori dà però vita ad una musica reale, non elettronica.

Solare, sorridente, comunicativo, Metheny ha ricordato al pubblico la sua gioia nel condividere la propria ricerca come il lavoro discografico con l’amico Charlie Haden del 1997 (Beyond the Missouri Sky) quale matrice della sua riscoperta degli strumenti acustici. Il senso del recital è stato anche un percorso dalla solitudine meditativa al moltiplicarsi di strumenti e sovraincisioni, come in un ludico gioco. Due ore e mezza di recital, tre bis e l’ultimo – And I Love Her – ricorda il ragazzino che si innamorò della chitarra vedendo i Beatles all’Ed Sullivan show, più di mezzo secolo fa. 50 dischi da leader e 20 Grammy Award non hanno attenuato il suo entusiasmo.

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