L’assalto allarmistico alla timida pseudo depenalizzazione introdotta dalla riforma Cartabia ha ottenuto un primo risultato. Ieri pomeriggio una nota di via Arenula ha informato che «Il ministero della giustizia è già al lavoro per studiare ed elaborare gli interventi urgenti, anche di carattere normativo, che la recentissima segnalazione di talune criticità sembra rendere senz’altro opportuni».

La vicenda è quella della modifica per la quale alcuni reati minori (come furto, frode informatica, sequestro di persona semplice, lesioni personali) sono adesso perseguibili solo a querela di parte. Vale a dire che in assenza dell’interesse della vittima, lo Stato – che ha di fronte a sé la montagna dell’arretrato penale e l’obbligo di ridurre i tempi della giustizia non solo per rispettare gli impegni del Pnrr ma anche per evitare le continue e costose condanne in sede europea – rinuncia a perseguire il reato. Che è poi quello che accadeva continuamente per via della prescrizione, istituto che nel vecchio regime falcidiava moltissimi processi per reati minori, ma dopo che era stato sopportato il costo di istruirli. Ed è quello che prevedibilmente tornerà a ripetersi anche nel nuovo regime della improcedibilità.

Lo scandalo della pseudo depenalizzazione – scandalo tale da chiudere il discorso su una vera depenalizzazione, pur tanto invocata – si è ultimamente giovato di alcune uscite allarmate di procuratori e presidenti di tribunali, con prevalenza di quelli degli uffici giudiziari più gravati da ritardi e arretrati. Più rumoroso di altri è stato il caso di un presunto boss di Palermo e di altri due presunti mafiosi a processo per sequestro di persona che, non avendo le vittime confermato la querela come il regime transitorio impone di fare, non sono più processabili per questo reato. Che però, com’è naturale che accada a profili criminali simili, è uno dei reati minori per i quali i presunti mafiosi sono sotto condanna o a giudizio, tant’è che non sono stati scarcerati.

Ora, sollecitato dagli allarmi, il ministro Nordio fa sapere che «sono in corso le valutazioni necessarie a riconsiderare alcune scelte di rendere procedibili a querela reati contro il patrimonio in contesti mafiosi e altre ipotesi di reato che, per il contesto in cui maturano, rendono indispensabili provvedimenti cautelari di urgenza». Ma, come fa notare subito il professore di diritto penale Gian Luigi Gatta, ex consigliere di Cartabia, «la riforma non ha reso procedibili a querela “reati contro il patrimonio in contesti mafiosi”» quali potrebbero essere l’estorsione, l’usura, il sequestro di persona a scopo di estorsione e la rapina. Peraltro, riassume Gatta, «nel codice penale originario del 1930 erano previsti 30 reati penali procedibili a querela, oggi sono circa 60, di questi solo 7 sono stati aggiunti all’elenco dalla riforma Cartabia che per altri 7 si è limitata ad ampliare i casi in cui è prevista la querela». Oltre che all’esigenza di ridurre la pressione sulle procure, sui tribunali (e sulle carceri) nei casi in cui la vittima non è interessata a procedere, la scelta della procedibilità a querela andava incontro al tentativo della riforma Cartabia di incentivare il ricorso alla giustizia riparativa che, quando funziona, prevede proprio la rinuncia alla querela come parte del percorso virtuoso.

Ora Nordio promette correttivi (in astratto già previsti dalla riforma) con decreto legge, e ha messo al lavoro il capo dell’ufficio legislativo Antonio Mura, toga della corrente di destra che ha sostituito Franca Mangano, toga progressista chiamata a via Arenula da Cartabia. Ma il ministro non può fare a meno di ricordare che «le riforme processuali sono state oggetto di esame da parte della Commissione europea e ritenute idonee a garantire all’Italia le risorse indispensabili per la ripartenza, con la conseguenza che ogni loro modifica non potrà non tenere conto di tale determinante percorso».