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La roulette del territorio fai-da-te

La roulette del territorio fai-da-teI danni dell'alluvione a Olbia – Reuters

Cosa è successo in Sardegna? Se lo chiedono in tanti e immagino pure i turisti «continentali» che neppure sanno immaginarsele le coste sarde d’inverno. Sull’onda dell’emozione le risposte rischiano di […]

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 20 novembre 2013

Cosa è successo in Sardegna? Se lo chiedono in tanti e immagino pure i turisti «continentali» che neppure sanno immaginarsele le coste sarde d’inverno. Sull’onda dell’emozione le risposte rischiano di essere precipitose. In realtà, il ripetersi di eventi catastrofici ci obbliga a prendere sul serio le prime reazioni, ormai arricchite da considerazioni già svolte in circostanze simili. Sembra una ripetizione oziosa parlare di malgoverno del territorio, ma tutti sappiamo con quale ostinazione si continua a urbanizzare aree inadatte. E quindi: piove ed è colpa del governo, da battuta popolare diventa espressione di meditata saggezza; non perché piove, certo, ma perché una pioggia straordinaria (spesso è così ) è solo una fra le cause di tragedie come questa.

Il governo del territorio in Sardegna: e viene in mente la confusione nei dibattiti intitolati «Tutela ambientale e sviluppo del territorio». Ma oggi il tema è un altro, la gravità del momento porta un elenco di domande per quando smetterà di piovere. I ponti devono sempre crollare? Le case devono stare nelle depressioni e negli alvei dei fiumi? Le tremila ville nell’agro di Arzachena sono una quantità gestibile? I condoni edilizi compensano la mancanza di case popolari a Olbia?

Insomma sarebbe facile la risposta: tutta colpa degli uomini cattivi che hanno maltrattato il territorio dell’isola. Vero in generale, ma dire che c’è un nesso di causalità diretto tra il disastro di queste ore e le trasformazioni avvenute in questi decenni è almeno precipitoso.
E d’altra parte servirà un po’ di tempo per consentire agli studiosi più competenti – penso agli idrogeologi – di guardare caso per caso nel merito delle circostanze puntuali.

Ma i dubbi non mancano. L’intensità dei fenomeni è stata notevole, ma è inesatto dire che non era prevedibile. La statistica osserva i fenomeni atmosferici e ne definisce la probabilità che possano ri-accadere. E si considerano i tempi «di ritorno» per intervalli in genere tra i 50 e i 500 anni. Ma il fatto che eventi si ripetano dopo centinaia di anni non mette al sicuro.
La roulette spiega che lo zero ha 1/37 possibilità di uscire ma può succedere anche tre volte di seguito. Per cui: chi ha costruito male in un area a rischio può sentirsi al sicuro da eventi «probabili» a distanza di centinaia di anni?

Le precauzioni. Le aree urbane della Sardegna costiera sono cresciute negli ultimi trent’anni con un ritmo tale che i luoghi come li abbiamo visti solo una decina di anni fa sono del tutto irriconoscibili. Rispetto alla crescita tra Otto e Novecento, c’è stata una incredibile accelerazione. I tempi lunghi del processo insediativo consentono di correggere una scelta improvvida: una calamità rimane nella memoria delle comunità. Per cui la selezione dei luoghi adatti alla edificazione è avvenuta grazie al passaparola tra generazioni. Non è così nei tempi brevi.

Intanto, nel nostro Paese, l’interesse per il bene comune è scivolato agli ultimi posti nella classifica dei valori. Il buon governo del territorio è una ossessione dei soliti che vaneggiano sul paesaggio invece di calcolare con ottimismo quanti bilocali – abusivi – starebbero su quel versante così tenero che si taglia con un grissino.

Il territorio della Sardegna è prezioso e vulnerabile e chiede una grande cura invece di assecondare il fai-da-te mentre si mandano rassicurazioni ai grandi speculatori.

Il governo regionale ha deliberato di recente la variante al Piano paesaggistico. Mi auguro che il presidente Cappellacci vorrà tenere conto dei giudizi preoccupati che provengono da più parti su quell’atto, e che oggi sono ovviamente cresciuti.

Chi pensa alla Sardegna come immune da rischi si sbaglia.

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