La premier è all’Onu per smerciare le sue ricette contro «la crisi migratoria» e per magnificare i risultati ottenuti dal suo governo, già esaltati con toni sconfinanti nel ridicolo dai siti del partito in vista della prima candelina.

Ma soprattutto per chiedere di sostenere la sua missione soprattutto economicamente, stanziando fondi in quantità per l’Africa. Proprio perché impegnata in una serie di bilaterali con i leader africani e per limare l’importante intervento all’assemblea generale delle Nazioni unite, spiegano i suoi collaboratori e chissà se è vero, ha disertato l’appuntamento clou, la riunione del Consiglio di sicurezza con Zelensky e Lavrov. E ha preferito una pizza al ricevimento di Biden, dopo aver disertato anche il ricevimento presso l’ambasciata italiana. Di certo gli aiuti per l’Africa sono stati al centro del colloquio con il segretario dell’Onu Guterres e sempre di migranti, in questo caso spostati sulla rotta balcanica ha discusso con Erdogan.

I CORDONI DELLA BORSA delle Nazioni unite sono tanto più fondamentali in quanto i risultati che la premier e i suoi Fratelli vantano sono scarsi. La costruzione del fortilizio Italia arranca, la guerra e la fame spingono più di quanto il governicchio della destra freni. Avanza in compenso l’edificazione della Fortezza Europa, assicura Meloni. La sua formula magica è nota: «Finché pretendiamo di discutere sulla distribuzione delle persone non ne verremo a capo, l’unica è la difesa dei confini esterni». E l’Europa, non si stanca di ripetere, si è smossa, ha capito, la segue: «Il paradigma è cambiato».

Stando alle dichiarazioni ufficiali non le si può dar torto ma sono solo parole. La stessa Meloni lo sa e per questo strilla: «Non consentirò di fare dell’Italia un campo profughi». Come ha chiarito ieri il portavoce Esteri della Commissione europea, una eventuale missione navale richiederebbe l’assenso di tutti i 27 Stati membri e avrebbe il compito di salvare vite. Cioè di portare i profughi salvati in Italia. L’alternativa, veleggiare verso i porti tunisini o libici, è poco realistica. Il memorandum con Tunisi firmato dall’alleata Ursula von der Leyen è congelato. Ieri nella riunione degli ambasciatori Ue la maggioranza degli Stati europei si è espressa a favore dell’intesa, chiedendo di discutere l’attuazione del memorandum nella riunione del Consiglio Affari Interni del 28 settembre. Alla fine, probabilmente, quei 255 milioni promessi a Saied arriveranno. Ma se anche solo erogare quattro soldi è così difficile, ci si può immaginare quanto più lo sarebbe decidere all’unanimità un blocco navale incaricato di riportare i migranti nei lager da cui provengono invece che in quelli che vagheggia Meloni in patria. Del resto anche quello sciagurato obiettivo non è affatto a portata di mano e in ogni caso ci vorranno parecchi mesi.

SE IL BLOCCO NAVALE dell’Unione è una chimera, i singoli Stati sono invece solerti quando si tratta di sbarrare le frontiere, peraltro con la benedizione della stessa premier italiana, e in realtà persino di Matteo Salvini: hanno appena votato contro la proposta di alleggerire le regole sui controlli e i pattugliamenti al confine tra i singoli Stati. La premier fa finta di niente: «Hanno problemi sui ricollocamenti ma io mica li chiedo, io chiedo di fermare le partenze illegali». Salvini invece coglie l’occasione per un ulteriore attacco contro l’Europa: si sa che la linea sua e di Marine Le Pen si discosta da quella della leader tricolore proprio perché loro preferirebbero non aspettare nessuna intesa europea e fare da soli. Il vicepremier chiede di poter intentare ricorso contro l’Austria «arrogante» per i controlli sui Tir al Brennero, e siccome von der Leyen non firma l’avvio della procedura la azzanna: «Non si può continuare a pontificare a spese dell’Italia».

I PEANA di Giorgia Meloni sul terreno che per il popolo della destra conta più di ogni altro sono destituiti di ogni fondamento. Ma sarebbe un grave errore pensare che la sua sia solo propaganda. Questioni come la gestione dell’accoglienza, i ricollocamenti, la revisione del Trattato di Dublino, in Europa suonano già come paccottiglia obsoleta. Il Parlamento europeo ne stava discutendo ma si è dovuto fermare, ieri, proprio perché lo stallo nel Consiglio della Ue sulle redistribuzioni non permette di procedere. Il dibattito è tra chi vuole che a fermare i migranti e riportarli nei campi nordafricani siano navi con la bandiera europea e chi preferisce che se ne occupino le singole nazioni. Come danno politico e culturale è effettivamente incommensurabile e da quel punto di vista Meloni qualche ragione di cantar vittoria ce l’ha.