Visioni

La rivoluzione quieta di McCoy Tyner

La rivoluzione quieta  di McCoy TynerMcCoy Tyner durante una performance del 2006 al Madison Square Garden di Ny – foto di Jason DeCrow/AP Photo

Maestri Sulla scena e negli album lo stile del grande pianista, scomparso a 81 anni, è stato fisico e trascinante. Una presenza fondamentale al fianco di Coltrane, geniale nei lavori solisti

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 8 marzo 2020

Sulaimon Saud, il nome islamico del pianista afroamericano Alfred McCoy Tyner, non lo conosceva quasi nessuno: musulmano praticante fin da giovane, Tyner era uomo schivo, pur essendo un gigante del jazz, paragonato a Bill Evans e Bud Powell per la duratura influenza. È morto il 6 marzo nella sua casa in New Jersey a 81 anni. La scomparsa è stata confermata dal nipote Colby Tyner, con una riservatezza che lo zio avrebbe apprezzato. Eppure sulla scena e negli album il pianismo di McCoy Tyner è stato esplosivo e travolgente, fisico e trascinante, costruito su modi, scale pentatoniche, armonie «quartali», sulla potente mano sinistra (era mancino) ed una destra fluentemente improvvisante. La trasposizione sulla tastiera – considerata anche in una dimensione percussiva – del linguaggio dell’amico John Coltrane di cui fu un partner paritario. Sarebbe potuta esistere la musica di Trane senza Tyner? Come immaginare la potenza di Africa (1961), il misticismo di A Love Supreme (‘64), il lirismo di After The Rain (‘65) senza il piano liquido e materico di McCoy?

NON È POSSIBILE appiattire la figura di Tyner al pur fondamentale periodo 1960-’65 del quartetto con Coltrane, Jimmy Garrison ed Elvin Jones, avventura iniziata a soli ventun anni. Più appropriato dividere l’esistenza del pianista – nato a Filadelfia nel 1938 – in tre periodi: la formazione nella città natale; la stagione con Coltrane; la lunga fase che dalla seconda metà degli anni sessanta lo ha visto diventare una «superstar» del jazz. Nel 2005 aveva vinto un Grammy Award per l’album Illuminations, inciso con Gary Bartz e Terence Blanchard e nel 2007 il disco McCoy Tyner Quartet lo vedeva con Joe Lovano e Jeff «Tain» Watts.
Dal 1953 al ’59 il pianista visse e si strutturò nella natìa Filadelfia studiando, accompagnando jazzisti di passaggio (da Jackie McLean a Max Roach) e approfondendo l’armonia insieme ai vicini di casa, i pianisti Bud e Richie Powell. Nell’estate del 1955 Tyner conobbe a Filadelfia John Coltrane con cui ebbe numerose conversazioni sulla musica; nel 1956 avrebbero suonato insieme, una settimana al club Red Rooster. Nel suo apprendistato tra jazz e r& b, l’esperienza più significativa fu con il Jazztet di Benny Golson, con cui suonò e incise (1959). Nel 1960 arrivò la chiamata da John Coltrane che stava costruendo il suo quartetto, orientandosi verso il modalismo e affiancando al sax tenore il soprano. La simbiosi e la «mutua» crescita tra Trane, Tyner e Jones fu totale e i brani del sassofonista sono davvero impensabili senza lo stile pianistico modale, percussivo, pieno di emotività di Tyner, da My Favorite Things a Kulu Sé Mama. Eppure McCoy mandò avanti in parallelo propri progetti e quando Coltrane spostò la sua ricerca verso un linguaggio più sperimentale e free se ne distaccò.

«ABSTRACT/MODAL STYLE» definiva lo stile di Tyner un altro pianista, Billy Taylor, e il musicologo Marcello Piras precisò che «modal allude all’impianto teorico del vocabolario tyneriano, mentre abstract è una definizione azzeccata di questo solismo che comunica un senso di orizzonti lontani e disegna un paesaggio interiore». Il primo  album della nuova stagione fu The Real McCoy (Blue Note, ’67) ma la svolta verso un destino da superstar si ebbe nel 1972 con il passaggio all’etichetta Milestones e l’uscita del disco Sahara. Tyner non usava standard e componeva a getto continuo (Mode to John, dedicato all’amico scomparso) utilizzando spesso temi veloci, cadenzati, con pochi accordi. L’idea di una danza «rituale», la forza cinetica del piano contrassegnavano una musica possente e sacrale. In quartetti/quintetti, in big band, in trio Tyner declinava queste caratteristiche e a metà anni ’80 avrebbe pubblicato un significativo volume di trascrizioni (Inception to Now). Tra inviti alla Casa Bianca, tour con la Milestone Jazzstars, album con Santana o in trio con Louis Hayes, dischi in solo (Revelations, 1989), il cambio di varie etichette fino alla Telarc, Tyner è stato prolifico sia a livello discografico che concertistico, portando avanti le sue idee e confrontandosi anche con il repertorio tradizionale.
La sua è stata una «quiet revolution», nel segno di una musica che connette con l’Assoluto, sincera e devota; il suo pianismo è da tempo studiato e imitato a livello didattico, non sempre cogliendone le urgenze interiori.

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