La rivoluzione (non russa) del Pd: una cena di gala con il padrone
Democrack A Roma a tavola per raccogliere finanziamenti nell'anniversario della Rivoluzione d'ottobre. La sinistra diserta e le urne si avvicinano. Orfini: senza legge elettorale il governo non puà andare avanti. Gotor: è solo tattica per fare paura a Berlusconi
Democrack A Roma a tavola per raccogliere finanziamenti nell'anniversario della Rivoluzione d'ottobre. La sinistra diserta e le urne si avvicinano. Orfini: senza legge elettorale il governo non puà andare avanti. Gotor: è solo tattica per fare paura a Berlusconi
«Via libera al risotto». Il premier segretario santifica così l’anniversario della Rivoluzione d’ottobre che cadeva ieri: con il discorso del risotto che per oltre un’ora accompagna la cena romana dei finanziatori del Pd. 700 paganti, mille euro a testa, un prezzo tutto sommato a buon mercato se chi paga ha l’impressione di comprarsi l’indulgenza del governo, quello in carica e anche il prossimo. Questi soldi, giura Renzi, «serviranno a non mandare in cassa integrazione i lavoratori del Pd e non gravare sulle casse dello stato». Dopo l’appuntamento al The Mall di Milano, anche l’elenco dei vip accorsi nella capitale è lungo. Del resto non è la prima volta che il Pd li chiama a tavola per finanziarsi, ma con la fine dei finanziamenti pubblici ai partiti la pratica del fund raising sarà un obbligo. Anche se nel partito ci sono ancora molti renitenti. Ieri la sinistra Pd ha disertato polemicamente il salone delle Fontane dell’Eur. Gianni Cuperlo, per esempio, ha marcato visita per inaugurare la sezione laziale della sua corrente SinistraDem, rivendicando l’assenza: «Per la mia formazione e per come la penso io, tra una cena con un numero di commensali a mille euro a coperto e una cena con un numero molto maggiore, a 20 euro a coperto io preferisco la seconda».
Ma presto questo come altri nodi di casa dem verrà al pettine. Anche perché nella giornata di ieri le quotazioni delle urne anticipate hanno conosciuto una nuova impennata. La «profonda sintonia» con Berlusconi è finita dopo che il cavaliere si è dimostrato tiepido sulla necessità di far avanzare la legge elettorale, la cui lentezza di marcia è considerata a ragione garanzia della durata della legislatura. «Le intese con la destra servono se si fanno le riforme, se non si fanno non servono più», spiega Matteo Orfini entrando nel salone dell’Eur. E l’idea di una maggioranza alternativa, magari con i 5 stelle come quella inutilmente inseguita da Bersani nella primavera del 2013, non regge proprio sulle riforme. «Certo, il governo vorrebbe arrivare al 2018 per portare avanti il suo programma. E certo, se anche saltasse il patto del Nazareno, una maggioranza il governo continuerebbe averla. Ma il punto è che non si possono fare le riforme costituzionali senza almeno un pezzo delle opposizioni», spiega il presidente. Quindi per assicurarsi che Berlusconi non si sfili all’ultimo miglio dell’iter costituzionale, come ha fatto tutte le altre volte, non c’è altra strada che scoprire le carte sull’Italicum. E se il cavaliere mollasse, meglio votare. «Magari correggendo il consultellum, alzando le soglie alla camera, con collegi su base provinciale». Il ragionamento conduce dritto al voto? «Conduce all’approvazione di una legge elettorale: con l’aria che tira, l’incidente parlamentare è sempre possibile. E non si può rischiare di non avere una legge pronta per andare al voto».
Minaccia reale o bluff sul Cavaliere ma anche sui dissidenti Pd che si preparano alla battaglia su jobs act e legge di stabilità? La sinistra Pd oscilla nell’interpretazione. Se Francesco Boccia e Pippo Civati sono convinti dell’accelerazione verso le urne, ci crede meno Miguel Gotor, l’uomo-chiave della trattativa (fallita) con i 5 stelle nell’era Bersani: «Quella di Renzi è una mossa tattica, peraltro comprensibile, che serve a impaurire Berlusconi e a riacquistare un po’ di autonomia politica effettiva e non condizionata. Ma la sostanza del “patto” non cambia: tu non cambi l’asse del motore di una macchina quando è in corsa». Molto più convinto Stefano Fassina, convinto che l’atteggiamento non dialogante di Renzi dimostri che il premier sta cercando proprio l’incidente parlamentare. «Ma Berlusconi non vuole elezioni anticipate, questo è il vero punto».
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento