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La rivoluzione del mixtape

La rivoluzione del mixtapeCassette

Storie/Cinquant’anni fa la Philips creava un nuovo prodotto, il nastro magnetico Considerato il supporto musicale più disprezzato dai puristi, l’audiocassetta ha vissuto il suo grande momento di notorietà negli anni Ottanta, anche grazie al lancio del Walkman. Soppiantato dal cd prima e dagli mp3 poi, oggi è diventato un oggetto di culto

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 22 febbraio 2014

«Una volta mi si spezzava il cuore quando venivo nel tuo negozio e mi dicevi che i miei dischi preferiti erano esauriti allora non compro più dischi nel tuo negozio ora li registro tutti (su cassetta)»

(C30, C60, C90 Go, Bow Wow Wow)

 

Pubblicato dalla Emi nel luglio del 1980, C30, C60, C90 Go del gruppo new wave Bow Wow Wow fu il primo singolo in assoluto ad uscire su cassetta (cassette single, o anche Cassingle). Appropriatamente, l’argomento trattato nel testo della canzone era l’avvento del supporto musicale che più caratterizzò la decade delle spalline imbottite.

C30, C60, C90 Go era anche il singolo di debutto della band britannica creata da Malcolm McLaren, la quale replicò alla fine dello stesso anno con l’ep (questo «solo» su cassetta) Your Cassette Pet. Una piccola curiosità: sembra che l’etichetta, la Emi, si fosse rifiutata di promuovere il singolo, perché presumibilmente incoraggiava l’home taping (ossia la registrazione casalinga. Il lato B della cassetta, infatti, era vuoto). Le stesse label discografiche (major, naturalmente) all’epoca erano allarmate dalla possibilità che la musicassetta offriva agli appassionati di musica di registrare dalla radio le proprie canzoni preferite, e di duplicare i dischi propri o degli amici. Presi da un isterismo, col senno di poi esagerato, contro la nascente «pirateria musicale» fai-da-te, i discografici degli anni Ottanta coniarono il celebre slogan intimidatorio: «Home Taping is Killing Music» (la registrazione amatoriale sta uccidendo la musica). Vi suona familiare? Una ventina di anni dopo le major lanceranno un’accusa simile ai programmi p2p (peer to peer) e al download (gratuito e illegale) su internet. Ovviamente, né le cassette né i programmi di file sharing possono essere ritenuti responsabili principali degli acciacchi dell’industria musicale, la quale farebbe bene a «sfruttare» la pirateria domestica quale opportunità (mezzo di promozione per i propri artisti, ad esempio) piuttosto che trattarla come nemico da combattere (non parliamo naturalmente di pirateria commerciale).

Seconda curiosità: quei mattacchioni dei Dead Kennedys stamparono sul lato B (lasciato intenzionalmente vuoto) della versione in cassetta del loro ep del 1981 In God We Trust, Inc. il messaggio: «Home taping is killing record industry profits! We left this side blank so you can help» (La registrazione casalinga sta uccidendo i profitti dell’industria discografica! Abbiamo lasciato vuoto questo lato così che anche tu puoi aiutare).

Si ritorna a parlare di cassette quindi, il supporto musicale più disprezzato dagli audiofili (e per alcune buone ragioni, bisogna ammettere). Ma la Cenerentola dei supporti musicali, che l’anno scorso ha compiuto ben cinquant’anni, sta avendo la sua rivincita. Da qualche stagione è infatti oggetto di revival, tanto che, a settembre del 2013, si è tenuto, sulla falsariga dell’ormai celebre Record Store Day, il primo Cassette Store Day: un giorno dedicato alla celebrazione dell’amata/odiata musicassetta, con eventi in negozi di dischi sparsi in tutto il mondo (un paio anche in Italia: il Backdoor di Torino e il Rizzo Manufacture Studio di Palermo), e uscite (ovviamente su nastro) in edizione rigorosamente limitata. E non parliamo soltanto di sconosciute band underground, ma anche di nomi rilevanti della scena indie mondiale: Los Campesinos!, The Flaming Lips, Suicidal Tendencies, Deerhunter, Animal Collective, Xiu Xiu, The Pastels e tanti altri.

Furono gli anni Ottanta la stagione d’oro delle audiocassette, le quali, nella seconda metà della decade (tra il 1985 e il 1992, nel Regno Unito), addirittura superarono per vendite gli album in vinile (non i singoli, però), prima di essere sorpassate a loro volta dal cd. Il supporto era stato inventato dall’olandese Lou Ottens, e introdotto sul mercato nel 1963 dalla Philips, che brevettò la nuova tecnologia nel 1965 e la rese disponibile gratuitamente ai produttori di tutto il mondo. Ma fu soltanto una ventina di anni più tardi che la cassetta raggiunse il suo picco di popolarità, grazie anche all’ubiquità di apparecchi mobili quali il Sony Walkman, lo stereo portatile (o boom box) e i mangiacassette da automobile.

Il Walkman in particolare fu un dispositivo che cambiò per sempre il modo in cui i consumatori ascoltavano musica. Lo stesso Akio Morita, fondatore della Sony, l’aveva previsto: «Questo è il prodotto che soddisferà le persone giovani che desiderano ascoltare musica tutto il giorno. Lo porteranno con loro ovunque (…) Sarà un successo». Lanciato a Tokyo nel 1979 con una insolita conferenza stampa (i giornalisti furono portati al parco Yoyogi e fu dato loro un Walkman da indossare. Da una cassetta ascoltarono in stereo le spiegazioni, mentre membri dello staff Sony compivano varie dimostrazioni del prodotto, tipo ascoltare il Walkman mentre andavano in bicicletta), nel 1995 la produzione totale aveva raggiunto i 150 milioni di unità. Più di trecento diversi modelli di Walkman sono stati prodotti dalla Sony, la quale nel 2010 ha cessato la produzione di tutti i Walkman a cassetta (e l’anno scorso è stata interrotta anche la produzione di tutti i registratori a cassetta portatili).

Se la cassetta, come abbiamo visto, aveva dalla sua la possibilità di registrare (cosa che non poteva fare il vinile) e la comodità di essere trasportabile («I carry my collection over my back», cantavano i Bow Wow Wow in C30, C60, C90 Go), oltre ad essere poco costosa, aveva anche parecchi svantaggi: la qualità audio non era delle migliori (anche se, comunque, c’erano cassette di qualità e cassette più scadenti), il nastro si rovinava con il calore, ci voleva un sacco di tempo per riavvolgerlo, e spesso veniva inghiottito dal mangiacassette. Tra gli anni Novanta e i Duemila, con l’avanzare della tecnologia digitale, la parabola delle cassette giunse al termine. I Compact Disc, che avevano un maggior spazio di archiviazione rispetto ai nastri, e la possibilità di duplicare musica senza perdita di qualità, erano ormai diventati economici, e la cassetta divenne obsoleta.

In pochi probabilmente avrebbero scommesso sul suo ritorno, eppure negli ultimi anni i riflettori della scena rock underground si sono accesi nuovamente su questo piccolo aggeggio retrò. Già, perché è questo che la cassetta è oggi: un oggettino, un feticcio, che spesso viene acquistato come souvenir di un concerto, al posto della spillina o della toppa, per mostrare il proprio sostegno alle band del cuore, ma che raramente viene ascoltata. Anche perché le case in cui si può trovare ancora un mangianastri (o una piastra, come venivano chiamati i «mangiacassette» più tecnologicamente avanzati, da rack stereo) sono sempre meno. E non è (sempre o solo) una questione di nostalgia: molti sostenitori attuali della cassetta sono fin troppo giovani per ricordarla e per averla utilizzata.

Negli ultimi anni è aumentato il numero di etichette indipendenti dedicate alla produzione di cassette (tape label), come la californiana Burger Records e la Gnar Tapes da Portland, Oregon. Burger Records è una etichetta indipendente specializzata in «eccentrico power pop» e garage rock, fondata a Fullerton, California nel 2007 da Sean Bohrman e Lee Rickard, membri della band power pop Thee Makeout Party. Tra le centinaia di artisti pubblicati dalla Burger troviamo nomi quali Brian Jonestown Massacre, Hunx and His Punx, The Go, The Black Lips, Redd Kross, Ryan Adams, Thee Oh Sees. Hanno lavorato con la Burger addirittura Dave Grohl (Foo Fighters) e Thurston Moore (Sonic Youth). Ad agosto del 2012 l’etichetta aveva venduto più di centomila cassette: un numero di tutto rispetto.

I vegliardi Dinosaur Jr., chissà se per nostalgia o per attrarre nuovi fan tra i giovani hipster, hanno pubblicato un paio di anni fa Cassette Trilogy, un box in edizione limitata (500 copie) comprendente i loro album degli anni Ottanta Dinosaur, You’re Living All Over Me e Bug. Mentre in Italia una delle più interessanti uscite recenti su nastro sono le compilation Tinals (This Is not a Love Song)di To Lose La Track, a cui abbiamo recentemente dedicato un articolo (Un amore in cassetta, su Alias del 30 novembre 2013).

Tutto ciò che circonda la produzione e la distribuzione amatoriale di musica registrata su cassetta è racchiuso nell’espressione cassette culture. Nata alla fine degli anni Settanta, la cassette culture è considerata in parte una diramazione del movimento mail art degli anni Settanta e Ottanta. Il packaging delle cassette era spesso molto creativo, e la distribuzione e la promozione delle cassette avveniva principalmente per posta (o attraverso qualche negozio, come Rough Trade in Inghilterra) e per mezzo delle fanzine. I nastri venivano a volte venduti, ma più spesso barattati (tape trading). Negli Stati Uniti, la cassette culture era connessa, durante gli anni Ottanta e Novanta, alle scene punk e riot grrrl. Nel Regno Unito era legata soprattutto alla scena punk, post punk e industrial, e all’etica DIY (nel periodo tra il 1978 e il 1984). Per fare un esempio, anche il successo dei Sex Pistols doveva molto alle cassette registrate da Rotten e compagni nei loro garage, e distribuite da loro senza alcun appoggio da parte delle case discografiche. La stessa pratica prosperava nella scena hip hop. Thurston Moore è da sempre un fanatico di questa sottocultura, tanto da dedicare all’argomento un libro: Mix Tape: The Art of Cassette Culture (2005, Universe Publishing). Un’altra pubblicazione-culto sul tema che vale la pena di recuperare è Cassette Mythos (autori vari, 1992, Autonomedia).

Mixtape. Ossia le mitiche compilation su cassetta. Chi non ha mai trascorso da teenager interi pomeriggi a selezionare brani, studiare la scaletta, creare un’atmosfera, per plasmare la perfetta compilation che avrebbe fatto innamorare quella persona speciale?

Creare un mixtape è tutt’altro che semplice o veloce, come ben sa Rob Fleming, il protagonista di Alta fedeltà di Nick Hornby (1995). Le regole sono molte: «Devi attaccare con qualcosa di straordinario, per catturare l’attenzione (…), poi devi alzare un filino il tono, o raffreddarlo un filino, e non devi mescolare musica nera e musica bianca, a meno che la musica bianca non sembri musica nera, e non devi mettere due canzoni dello stesso cantante di seguito, a meno che tu non imposti tutto il nastro a coppie, e… beh ci sono un sacco di regole». Sia che fossero semplicemente raccolte casuali dei brani preferiti oppure compilation con un tema specifico o una particolare atmosfera, un buon mixtape rispecchiava sempre la personalità del compilatore. Secondo il saggista Geoffrey O’Brien, il mixtape rappresentava «la forma artistica americana più diffusamente praticata».

E a proposito di arte: ci sono artisti contemporanei che creano piccole opere d’arte pop davvero adorabili riciclando vecchie cassette. Uno tra questi è il francese Benoit Jammes, graphic designer e fotografo poco più che trentenne che dà nuova vita a vecchie audiocassette in spiritosi tributi 3d ai Simpsons, Kill Bill, Matrix, Pac-Man, Rambo ecc (http://www.flickr.com/photos/sisimissa/).

Se anche voi volete cimentarvi nel recupero artistico dei nastri che riposano da anni negli scatoloni in garage o in soffitta, è sufficiente una veloce ricerca su internet per scoprire come riutilizzarli per creare lampade, sedie, portamonete, portapenne, scatole portaoggetti e tante altre cose.

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