La rivoluzione arrestata
Nuova finanza pubblica Le rivoluzioni arabe sembrano passate di moda. Nessuno ne parla più o segue gli avvenimenti che si sono succeduti dopo gli eventi più eclatanti. Ma per seguire le dinamiche delle […]
Nuova finanza pubblica Le rivoluzioni arabe sembrano passate di moda. Nessuno ne parla più o segue gli avvenimenti che si sono succeduti dopo gli eventi più eclatanti. Ma per seguire le dinamiche delle […]
Le rivoluzioni arabe sembrano passate di moda. Nessuno ne parla più o segue gli avvenimenti che si sono succeduti dopo gli eventi più eclatanti. Ma per seguire le dinamiche delle trasformazioni sociali occorre vederle con una prospettiva di lungo periodo.
Solo gli eventi della scorsa estate hanno riportato l’Egitto sugli schermi, con la cacciata del presidente Morsi dei Fratelli Musulmani (in carica da giugno 2012) fra tumulti di piazza e la presa di potere dell’esercito. Non si è però parlato del clima di crescente repressione polizesca contro attivisti e giornalisti (4 di Al-Jazeera arrestati la settimana scorsa per esempio) sotto il governo militare attuale che ha sospeso la costituzione e il Parlamento.
La storia delle rivoluzioni arabe del 2011 attende ancora di essere scritta. Ma alcuni punti sono sufficientemente chiari. Già a Genova nel 2011 (al decennale del G8), e ancor più al Social Forum mondiale a Tunisi nel 2013 ci siamo sentiti spiegare dagli attivisti che alla base delle proteste non vi era solo la questione dei diritti civili amate dai commentatori occidentali ma i gravi disagi economici patiti dalla popolazione per un crescente liberismo economico. Elemento centrale del contesto è il debito estero; l’Egitto per esempio, che ha visto nel lungo regno di Sadat e del filo-occidentale Mubark (1981-2011) un indebitamento in crescita da 2.400 a 35.000 miliardi di dollari è diventato sempre più ostaggio delle istituzioni finanziarie internazionali (in primis il Fondo Monetario Internazionale) con un abbassamento della spesa sociale e una crescita dei livelli di povertà. Nell’importante seminario al Fsm di Tunisi su «Debito, accordi di libero mercato e rivoluzioni arabe» una ricercatrice del Centro egiziano per i diritti economici e sociali (Ecesr) ha illustrato con precisione tale situazione, il cui quadro è rinvenibile sul loro documentato rapporto di maggio scorso (disponibile sul loro sito ecesr.com): 40% della popolazione egiziana in povertà con meno di 2 dollari al giorno, mentre una piccola élite ha ammassato una enorme ricchezza, con un aumento progressivo del tasso di impoverimento nel corso dell’ultimo decennio; e parallelamente si documenta la lesione di diritti in tanti campi, particolarmente nel lavoro e nelle libertà sindacali.
Torna alla mente la magistrale analisi di N. Klein in «Shock Economy», soprattutto sul Sudafrica (e la scomparsa di Mandela offre ulteriore stimolo): il livello strategico risulta più che mai l’economia nella sua dimensione finanziaria in senso stretto: politiche monetarie, debito, vincoli di bilancio, che si collocano al di sotto della percezione generale – inevitabilmente incentrata su temi più immediti e comprensibili (libertà personali, arresti, ecc); qui si riesce a scrivere una storia diversa capace di incidere su tutti gli altri livelli, sui diritti sociali e civili. Così nel Sudafrica degli anni Novanta con l’ambizioso programma di Mandela vincente, paralizzato e ucciso dai vincoli finanziari neoliberali; così nell’Egitto odierno dove la cacciata dell’odiato autocrate Mubarak è stata come una increspatura del mare, mentre l’orientamento fondamentalmente neoliberista è stato anche approfondito dai successivi governi.
L’Ecsr ha affrontato con grande competenza tali temi; è forse per questo che la mannaia della repressione li ha colpiti: lo scorso 18 dicembre la polizia ha fatto irruzione nella loro sede spaccando e sequestrando computer e altri materiali e arrestando 6 persone dello staff. Uno di essi, cofondatore del Movimento 6 aprile, spina dorsale delle rivolte del 2011, è stato condanato 2 giorni più tardi a tre anni di prigione (si veda il comunicato sul blog http://collettivoprezzemolo.blogspot.it, è in corso una campagna di solidarietà).
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