Un pezzo di storia del ’900 scorre lungo l’argine del Canale Navile, che attraversa le campagne della pianura a Nord di Bologna e dove oggi la costruzione di un polo logistico di 73 ettari mette a rischio il terreno su cui sorge l’ultima risaia della zona. I territori che solo fino a pochi anni fa erano votati quasi interamente alla piantagione del riso, sono testimoni della fortuna che in queste aree paludose trovò il cereale arrivato dall’Oriente e dello sforzo che ne rese possibile la coltivazione.

SONO LE TERRE DEGLI SCARIOLANTI, giunti dalle regioni limitrofe per costruire gli argini dei canali e bonificare gli acquitrini, muniti solo delle nude mani, della vanga e della preziosa carriola. E’ qui che nel dopoguerra le mondine divennero un simbolo di emancipazione femminile attraverso il lavoro, difeso e rivendicato da vere e proprie pioniere delle lotte bracciantili.

«SONO INORRIDITO PER COME SI TRATTA la storia dei nostri luoghi: se perdiamo l’ultimo pochino di risaia rimasta perdiamo tutto» osserva Lorenzo Mengoli, consigliere della Città Metropolitana di Bologna, nella video intervista diffusa qualche giorno fa dalla locale Radio Città Fujiko, che sta dando spazio alle voci contrarie al progetto. Le critiche arrivano da numerosi fronti, primo fra tutti quello di Legambiente, che ha evidenziato come la costruzione dell’hub, che coinvolgerebbe i comuni di Malalbergo, San Pietro in Casale e Bentivoglio, significherebbe rinunciare a una parte cospicua di terreno agricolo coltivabile in un territorio fertile e irriguo, per ospitare forme d’impiego spesso segnate da precarietà e mancanza di diritti, come stanno dimostrando le lotte delle lavoratrici e dei lavoratori del vicino Interporto.

NELLE NUMEROSE INTERROGAZIONI che sta presentando, Legambiente ha ricordato come il settore logistico sia messo costantemente a rischio dalla crescente meccanizzazione, esprimendo i propri dubbi verso i 1500 posti di lavoro annunciati, che potrebbero di fatto dover fare i conti con una realtà ben diversa da quella attuale nei tempi in cui il progetto sarebbe operativo. La scelta da parte dell’amministrazione comunale di individuare quattro punti per la costruzione dei nuovi insediamenti logistici a ridosso di caselli autostradali, ritenuta come strategica per ridurre la distanza tra i centri di smistamento e l’autostrada, appare invece all’organizzazione poco lungimirante, in quanto porterà verosimilmente a reclamare nuove carreggiate e ulteriore consumo di suolo e alimenterà in maniera esponenziale il trasporto su gomma.

UN PROBLEMA INCREMENTATO, nel caso del polo logistico che dovrebbe sorgere nei pressi del casello di Altedo, dal fatto che l’area interessata non è prossima alla rete ferroviaria e in pieno contrasto con gli obiettivi di riduzione del traffico previsti dal Piano della mobilità sostenibile (Pums) e con quelli comunitari sul contenimento degli inquinanti atmosferici, per i quali l’Italia e in particolare la Pianura Padana è già in procedura d’infrazione.

LA CEMENTIFICAZIONE DI UN’AREA così vasta significherebbe inoltre impermeabilizzare un territorio già a rischio alluvione. Non solo: la risaia coinvolta nel progetto è divisa in due appezzamenti tagliati dalla A13 ed è composta da un terreno più piccolo, situato a ovest dell’autostrada, che è un Sito di Interesse Comunitario (Sic) e Zona di Protezione Speciale (Zps) per la conservazione dell’avifauna e degli uccelli migratori, parte della rete Natura 2000, e di uno più esteso, quello su cui i probabili acquirenti hanno interesse, sottoposto a vincolo di zona umida di particolare interesse paesaggistico-ambientale. Legambiente e le altre realtà territoriali che si oppongono all’opera si stanno battendo perché i vincoli vengano rispettati, riscontrando delle irregolarità nel processo di voto che ha coinvolto i comuni dell’area metropolitana nella decisione a favore del polo, in quanto il documento è stato presentato su un’erronea designazione dei terreni come incolti, mentre sono coltivati per il riso da semina dalla S.I.S., Società Italiana Sementi.

A CHIEDERE MAGGIORE TRASPARENZA nel processo decisionale è anche l’associazione Primo Moroni della Nuova Casa del Popolo La Casona, simbolicamente situata all’interno del vecchio essiccatore del riso di Ponticelli, in prossimità della risaia in pericolo e che da anni organizza iniziative culturali e politiche per la memoria e per la salvaguardia del territorio.

GLI ATTIVISTI STANNO CERCANDO di avviare un dibattito con la popolazione e un confronto con la comunità, denunciando la contraddizione di un progetto che stona con la volontà di creare un corridoio verde e di valorizzare l’agro-turismo espressa nell’agenda regionale: «Come si può valorizzare un paesaggio attraversato da percorsi cicloturistici di importanza europea e contemporaneamente prevedere interventi di cementificazione? Quanti ettari di suolo dovranno essere ancora sacrificati a scopi diversi dalla produzione alimentare?», si chiede l’associazione sul proprio sito, dove è possibile anche firmare la petizione per fermare la grande opera.

«IL VALORE DI UN’ATTIVITA’ NON E’ LEGATO solo alla quantità di posti di lavoro che genera, ma alla qualità» fa notare Luca Girotti, presidente di Legambiente della Pianura Nord di Bologna. «Noi crediamo sia tempo che le amministrazioni si facciano portatrici di scelte coraggiose e con una visione. Quell’area sarebbe ottima per creare un distretto del biologico, che punti alla valorizzazione dei suoi prodotti, come l’asparago Dop di Altedo e la patata di San Giorgio in Piano; del turismo responsabile, attraverso la ciclovia del Navile che sta nascendo e della sua natura protetta.

IL GRANDE INTERESSE CHE QUESTA vertenza sta riscuotendo è un simbolo di come la mobilitazione di cittadini e associazioni potrebbe aprire la strada a valutazioni differenti. Come ha spiegato Veronica Macchiavelli, giovane voce del Coro delle Mondine di Bentivoglio in un intervento al Consiglio Metropolitano: «La risaia rappresenta allo stesso tempo un patrimonio materiale e immateriale, espressione dei valori storici, culturali, naturali e morfologici del nostro territorio. Il progetto di questo polo logistico ci parla di un’idea di mondo che non guarda al rispetto della vita dei singoli, delle comunità e dell’ambiente e non crea un orizzonte sostenibile come invece le mondine auspicavano nelle loro cante e nelle loro battaglie».

LE MONDINE, CHE USAVANO CANTARE non solo per sostenersi nel lavoro, ma per trasmettere informazioni non comprese dal padrone, ancora oggi si fanno «staffette di cultura tra le generazioni», come spiega la canta dedicata alla battaglia contro il polo che il Coro di Bentivoglio ha adattato su un’aria tradizionale, rendendosi portavoce di un messaggio che è già debordato. Ne è un esempio la camminata di donne organizzata per i giorni del 22 e 23 maggio da Raffa, Rete Appenninica Femminista e Bds, Brigata Solidarietà Donne, che partirà da Marzabotto, storico luogo della Resistenza dell’Appennino bolognese e arriverà in varie tappe alle risaie di Altedo, proseguendo il cammino iniziato in Argentina dalle Mujeres Indigenas por el Buen Vivir per chiedere che il terricidio sia considerato un crimine contro la natura e l’umanità.