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La riforma va. Signorsì del Pd

La riforma va. Signorsì del PdLa ministra Maria Elena Boschi

Camera Aventino a metà, Sel-Fi-Lega rientrano in aula e votano no alle riforme. M5S resta fuori. Fassina, Civati e pochi non votano. Gli altri giurano battaglia, ma sull’Italicum. La minoranza dem sposta il Piave sulla legge elettorale. Che Renzi non vuole far tornare al senato, dove l’ultimo sì è appeso a un filo

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 10 marzo 2015

Mezzo Aventino, neanche un Aventino intero. Stamattina alla camera quasi tutti i gruppi dell’opposizione saranno in aula per votare le riforme costituzionali. Lo strano fronte che aveva praticato la ritirata dall’aula – Fi, Sel, Fdi e Lega – impartisce il contrordine: tutti dentro. Voteranno no al ddl Boschi ma grazieranno il governo e il presidente del consiglio dalla brutta figura di una maggioranza che si vota da sé le riforme. È già successo ieri, durante il vaglio degli ordini del giorno. A questo giro Forza Italia voterà no, dopo il sì convinto del senato. Ma nella riunione pomeridiana fra i deputati le divisioni esplodono: i ’verdiniani’ restano propensi al sì, persino Daniela Santanché chiude la giornata con un «la notte porterà consiglio». Rientra nei ranghi e nei banchi anche Sel, «non per una concessione alla maggioranza ma per difendere il parlamento. Vogliamo evitare, che le ingerenze del governo Renzi continuino a segnare la storia di una riforma sbagliata», spiega il capogruppo Arturo Scotto. Lo strano fronte Fi-Lega-Sel-Fdi si ritroverà sulla stessa strada del no al momento del referendum confermativo. Quando sarà.

Resta fuori dall’aula invece il Movimento 5 stelle. In smagliante solitudine: inutile l’appello di Danilo Toninelli alle altre forze dell’opposizione per non votare «la Schiforma Costituzionale». «Entrerò solo io per la dichiarazione finale, e poi me ne andrò. L’auspicio è che se ne stiano fuori anche coloro che con noi hanno lottato per difendere la Costituzione, evitando così di legittimare un truffatore semantico, qual è Renzi, in questo ennesimo attacco alla democrazia», annuncia il deputato.

Ma il mezzo Aventino basta alla maggioranza per cantare vittoria: «Le opposizioni sono rientrate in aula e M5s ha perso una occasione. Vediamo se rientrano domani, ma noi andiamo avanti», dice la ministra Boschi. «Se qualcuno decide di chiamarsi fuori ne prendiamo atto, ne sarei dispiaciuto», aggiunge Lorenzo Guerini.

Ma il vero tormento è quello delle variegate anime della minoranza Pd che ieri, alla fine dei lavori dell’aula, si sono chiuse nella sala Berlinguer dove è andata in scena una faticosissima riunione sul che fare. Gli appelli a Renzi per consentire le modifiche al ddl Boschi e all’Italicum sono caduti tutti nel vuoto. Gianni Cuperlo ha scritto una nuova lettera al segretario in quello che sta diventando ormai un romanzo epistolare: «Per mesi ci hai detto che riforma della Costituzione e nuova legge elettorale si potevano modificare solo col consenso di Forza Italia. Oggi che quel patto non esiste più, sento dire che le riforme non si possono cambiare comunque, ’neppure di una virgola’. Tradotto, prima il parlamento doveva ’obbedire’ in ossequio a un patto sottoscritto fuori dal parlamento. Adesso il parlamento dovrebbe ’obbedire’ in ossequio a un patto che non c’è più. Caro presidente che senso ha?».

La linea del Piave della minoranza sarebbe – in teoria – la richiesta di modifica delle liste bloccate della riforma elettorale che arriverà in aula alla camera solo a maggio, dopo le elezioni regionali. E così alla fine le minoranze dem decidono di votare sì al ddl Boschi. Voterà sì Bersani e la schiera sempre meno folta dei suoi, voteranno sì i cuperliani. Non parteciperanno invece al voto Pippo Civati, Luca Pastorino (che neanche hanno partecipato alla riunione), Stefano Fassina, Davide Zoggia e pochi altri. «Solo per dare un segnale», azzardano.

Ma in realtà il vero segnale è di allarme per la stessa minoranza Pd: la stragrande maggioranza dei parlamentari dell’ex area Cuperlo (ora divisa in quattro-cinque anime) ormai maltollera sempre più di mantenere il profilo del dissenso. La sirena renziana canta forte, Bersani e Cuperlo sono sempre più soli. Il presidente-segretario ha detto chiaro che il testo delle riforme resta quello del patto del Nazareno. E dalla sua cerchia ormai si propaga un avviso come un tam tam: se l’Italicum dovesse essere cambiato alla camera, in uno dei voti segreti; ovvero se tornasse al senato, dove difficilmente stavolta troverebbe i voti per passare, Renzi sarebbe pronto a far saltare la legislatura e portare tutti al voto con il consultellum. L’ipotesi è ampiamente inverosimile, ma basta che sia ventilata per far cambiare verso al dissenso.

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