Politica

La riforma ora va in discesa

La riforma ora va in discesaLa ministra delel riforme Maria Elena Boschi

Costituzione La minoranza Pd ritira molti emendamenti. «Abbiamo ottenuto buone modifiche». La minoranza Pd ritira molti emendamenti. «Abbiamo ottenuto buone modifiche»

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 10 dicembre 2014

Se c’era un luogo dove la minoranza del Pd avrebbe potuto mettere in difficoltà Renzi, Boschi, il loro disegno di legge di revisione della Costituzione e le intese del patto del Nazareno, questo era la commissione affari costituzionali della camera. Lì i deputati bersaniani e critici verso il modello di senato imposto dal governo, uniti ai colleghi di Sel e del Movimento 5 stelle, avrebbero potuto far passare modifiche importanti alla riforma o in alternativa tenerla ferma fino a far saltare la previsione di un approdo della legge in aula prima di natale. E così è stato, per la prima settimana di lavori, passata nell’esame di articoli marginali. Ma nel fine settimana la situazione si è sbloccata. E ieri, nella prima delle due giornate nelle quali la camera si è fermata per far andare avanti i lavori della prima commissione, sono stati approvati molti articoli e dei più importanti. La minoranza Pd ha ritirato molti dei suoi emendamenti, annunciando di volerli ripresentare in aula. Dove però i rapporti di forza sono tutti a favore del governo e l’alternativa per i dissidenti sarà tra l’astensione e l’uscita dall’aula. Il film già visto nel passaggio alla camera della legge elettorale, quando si scelse di rinviare lo scontro al senato.

Il deputato del Pd Andrea Giorgis, professore di diritto costituzionale a Torino, respinge le accuse di «pavidità» che vengono rivolte alla minoranza democratica dai 5 stelle (da Sel arriva una più composta delusione). E fa l’elenco delle «vittorie» strappate nel braccio di ferro con il governo. «L’innalzamento del quorum per l’elezione del presidente della Repubblica a tre quinti del parlamento in seduta comune, dal settimo scrutinio. Di fatto riusciamo per la prima volta dal ’93 – cioè dall’introduzione del maggioritario – a togliere alla maggioranza la possibilità di eleggere da sola il capo dello stato». Vero è che, con l’Italicum, una garanzia piena è impossibile visto al primo partito potrebbero mancare non più di una trentina di elettori per i tre quinti. Giorgis continua citando l’eliminazione della promulgazione parziale delle leggi da parte del capo dello stato, lo stralcio del voto a data certa con il quale il governo può imporre al parlamento di esprimersi entro 60 giorni su un suo testo (ma l’istituto resta, citato in Costituzione e affidato ai regolamenti), l’abolizione della competenza speciale bicamerale per le leggi sulla famiglia e i trattamenti sanitari (una vittoria dei centristi al senato). In cambio di questo, la minoranza Pd ha dovuto subire la conferma dei sindaci-senatori (mentre sui senatori a vita non si è deciso nulla) e ha ritirato gli emendamenti agli articoli 8, 7 e 6 che così sono stati velocemente approvati dalla commissione. Dunque nessun ricorso alla Consulta sui titoli di ammissione di un deputato.

Da Sel è arrivato un appello al governo e alla maggioranza: «Fermatevi perché è inutile andare avanti con una riforma che tanto poi il referendum boccerà», ammesso che il referendum si faccia. Un solo emendamento proposto dalla sinistra (insieme a Ncd e minoranza Pd) è stato accolto, ma è più di forma che di sostanza: si prevede l’introduzione dello statuto delle minoranze nei regolamenti parlamentari. I deputati 5 stelle hanno fatto il gesto di sottoscrivere gli emendamenti ritirati dalla minoranza Pd, come quelli di Rosy Bindi sul senato elettivo, ma a quel punto le modifiche sono state ovviamente respinte.

Dunque ora si corre, il governo non rinuncia al passaggio in aula in tempo per incardinare la legge a dicembre e discuterla più agevolmente a gennaio. Tanto che non può escludersi, ma sarebbe clamoroso, una conclusione monca in commissione, senza tutti gli emendamenti esaminati. Tra gli ultimi c’è quello della minoranza Pd all’articolo 38, che prevede di sottoporre al vaglio della Consulta anche la nuova legge elettorale prima della promulgazione. Il governo è contrarissimo. Evidentemente anche a palazzo Chigi conoscono i problemi dell’Italicum.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento