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«La riforma Cartabia ha un impianto garantista, coglie nel segno»

«La riforma Cartabia ha un impianto garantista, coglie nel segno»

Giustizia Intervista a Stefano Musolino, prossimo segretario di MD

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 13 luglio 2021

«Non mi chiami, per favore, segretario in pectore: l’elezione sarà a settembre». Fra i giuristi la forma è sostanza, e quindi dietro la richiesta di Stefano Musolino, pm antimafia a Reggio Calabria, c’è «una questione importante: il rispetto della democrazia interna a Magistratura democratica. Per ora sono solo uno dei 12 membri del consiglio nazionale», il direttivo eletto a conclusione del congresso di Firenze.

Dottor Musolino, per voi la riforma Cartabia del processo penale va bene. Ma ci sono i dubbi di Giuseppe Santalucia, presidente Anm, sulla prescrizione.
Giudico positivo l’impianto culturale garantista della riforma. L’idea di giustizia penale che ne sta alla base coglie nel segno, perché afferma che processo e carcere devono essere l’extrema ratio. Capisco le preoccupazioni sulla prescrizione, ma bisogna guardare al quadro complessivo: con le novità a regime, le cause che andranno davanti al giudice dibattimentale (e, poi, in appello) saranno molte di meno delle attuali. L’ispirazione di fondo è corretta: l’inefficienza del sistema non può essere scaricata su imputati e parti offese. Ed è proprio perché il cambiamento possa dare i suoi frutti che auspichiamo l’amnistia per una serie di reati che, per la loro rilevanza e il tempo trascorso dal fatto, sono solo una zavorra che congestiona le corti: serve un coraggio politico coerente con l’obiettivo culturale della riforma.

Potrebbe servire anche la depenalizzazione delle norme sulle droghe?
Io credo sia utile, se inserita in un generale ripensamento delle modalità con cui fronteggiare il fenomeno sociale, senza ricorrere allo strumento penale quale unico o principale metodo di intervento. L’attuale normativa sicuramente non funziona, il «diritto penale della marginalità» porta solo al sovraffollamento carcerario.

Con la riforma sarà il giudice al termine del processo a comminare le pene sostitutive al carcere, mentre ora lo fa il magistrato di sorveglianza. Non sarà un problema?
Si tratta di fare investimenti per riformare il sistema dell’esecuzione penale: bisogna redistribuire le risorse, insieme ad un rinnovamento culturale e professionale del giudice dibattimentale e, con lui, del pm.

Di giustizia civile si parla generalmente di meno, ma anche lì si annunciano riforme.
Saremo molto vigili. Faremo attenzione alla tutela dei soggetti più deboli, come quelli coinvolti nelle amministrazioni di sostegno verso le persone con fragilità sanitarie e psicologiche, e nelle procedure di protezione internazionale verso i richiedenti asilo. Per capire la portata dei problemi, mi permetto di consigliare l’ascolto sul nostro sito dello straordinario intervento al congresso di Matilde Betti, giudice (del tribunale di Bologna, ndr) di grande esperienza e umanità.

Qual è la vostra posizione sui referendum promossi da radicali e Lega?
Bisogna darne una lettura complessiva. La narrazione che ne sta alla base è questa: la magistratura è nemica della buona giustizia. Non possiamo accettarlo. Non perché la magistratura sia perfetta, anzi: abbiamo bisogno delle critiche esterne, ma non di quelle che hanno la finalità di deteriorare ruolo e funzione costituzionale della magistratura. E in questo caso l’obbiettivo è mettere la magistratura «sotto il trono» in funzione di una progressiva concentrazione dei «pieni poteri» nelle sole mani di chi governa. Invece la magistratura deve restare un potere scomodo, in funzione anti-maggioritaria, a tutela dei diritti fondamentali.
Almeno il quesito sulla presenza degli avvocati nelle procedure di valutazione dei magistrati dovrebbe piacerle: è anche una bandiera di Md.
Io credo che la presenza degli avvocati nei consigli giudiziari aiuti la trasparenza delle nostre valutazioni interne. E la maggiore trasparenza è fondamentale per evitare le derive come quelle messe in luce dal «caso Palamara».

A proposito: come pensate di recuperare la fiducia dei vostri colleghi verso le correnti?
Uno dei modi per far ripartire le correnti è quello di far percepire a ciascun magistrato la rilevanza del suo contributo per il futuro dell’associazionismo giudiziario e la tutela della magistratura costituzionale. Dobbiamo restituire la percezione, a chiunque si voglia impegnare, di potere influenzare «dal basso» le scelte delle dirigenze di tutti i gruppi per combattere le derive elitarie. Noi di Md vogliamo impegnarci in tal senso: per questo le chiedo di non dare per scontato che il prossimo segretario sia io.

E la fiducia dei cittadini verso la magistratura tutta?
Quella si riconquista ponendosi in una posizione di ascolto del punto di vista esterno, marchio di fabbrica di Md, essenziale per non cadere nel corporativismo autoreferenziale: indipendenza e autonomia della magistratura non sono privilegi di casta, ma sono funzionali alla tutela dei diritti fondamentali delle persone, in funzione «anti-maggioritaria» come ci ha ricordato Luigi Ferrajoli al congresso. Interpretare questo ruolo nell’esercizio quotidiano della giurisdizione significa intendere la giustizia come servizio al cittadino, recuperandone la fiducia.

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