La ricetta campesina per il clima
Clima Sovranità alimentare e agroecologia, in vista della Cop26 di Glasgow è questa la ricetta dei piccoli produttori di Via Campesina. Che denunciano lo strapotere delle imprese e l’accesso negato alle terre
Clima Sovranità alimentare e agroecologia, in vista della Cop26 di Glasgow è questa la ricetta dei piccoli produttori di Via Campesina. Che denunciano lo strapotere delle imprese e l’accesso negato alle terre
I piccoli agricoltori raffreddano il pianeta»: è con questo slogan che il movimento contadino de La Via Campesina si prepara alla Cop26 che si svolgerà nel mese di novembre a Glasgow, in Scozia. Le vie d’uscita dalla crisi climatica proposte dal movimento globale dei piccoli produttori ruotano intorno a due grandi temi: sovranità alimentare e agroecologia. «Si tratta del diritto dei popoli ad autodeterminare i propri sistemi alimentari in modo locale, diversificato e libero dalle pressioni del mercato globale e di perseguire l’agroecologia contadina, una pluralità di pratiche e di approcci che pongono l’attenzione sulla sfera sociale e ambientale della produzione di cibo», spiega Pier Francesco Pandolfi de Rinaldis, membro dell’Associazione Rurale Italiana e portavoce dei giovani europei de La Via Campesina.
28 anni, tecnico e lavoratore agricolo per progetti di agricoltura sociale e non solo, Pier Francesco vorrebbe diventare agricoltore ma in Italia accedere alla terra è molto difficile se non si arriva da una famiglia di contadini. «La transizione sociale deve andare di pari passo con quella ecologica», sottolinea, «altrimenti si rischia di incappare in false soluzioni». Secondo il giovane rappresentante de La Via Campesina si tratta di proposte che non cambiano il modello estrattivista di riferimento ma puntano a renderlo più efficiente: l’agricoltura digitale, promossa anche dal Food System Summit delle Nazioni Unite, l’industria green, il «carbon offset» o l’uso strumentale delle «nature based solutions».
«Attraverso i modelli agroecologici possiamo diminuire gli input in agricoltura, oggi ancora fortemente legata ai combustibili fossili e alla catena globale», spiega il portavoce dei giovani contadini. Serve un’agricoltura in grado di assorbire e stoccare il carbonio. «I terreni gestiti in maniera estrattivista sono depauperati e le attività microbiologiche del suolo in larga parte non avvengono», evidenzia Pier Francesco: «Da qui il bisogno di input esterni. Il livello di sostanza organica è bassissimo, spesso inferiore all’1%». Eppure, le soluzioni esistono e vengono già praticate. «L’agricoltura può tornare a stoccare carbonio in primis incrementando il livello di sostanza organica», aggiunge. Sovesci, concimazioni organiche e coperture del suolo possono essere buone soluzioni. Inoltre, devono essere eliminate pratiche come i diserbi e il mantenimento di terreni arati nudi. Altrettanto importante è la diversificazione del paesaggio agricolo. Il rappresentante de La Via Campesina parla di sistemi agroforestali, coltivazioni arboree ed erbacee integrate, siepi, infrastrutture ecologiche.
Una ricetta unica non esiste ma, come spiega Pier Francesco, si può tendere al ciclo aziendale chiuso, integrato, per ridurre al minimo gli input esterni, rigenerare i suoli, preservarli ed essere diversificati.
Una vera trasformazione del modello non può prescindere dalla componente di innovazione sociale. «Ci vuole una collaborazione creativa e generativa, orizzontale e aperta, non solo tra agricoltori, ma anche tra diversi gruppi sociali», sottolinea il giovane aspirante agricoltore. «Le soluzioni e gli approcci comunitari e collettivi per mitigare e adattarsi agli effetti dei cambiamenti climatici devono poter circolare», aggiunge. Le buone pratiche vanno dalla rigenerazione degli habitat naturali in zone fragili alla tutela della biodiversità attraverso lo scambio dei semi, per diffondere varietà in grado di adattarsi meglio ai cambiamenti climatici e alle caratteristiche di ciascun territorio.
Gli agricoltori sono sentinelle del clima che cambia, spesso i più colpiti dagli eventi climatici avversi. Grandinate che distruggono i raccolti, gelate improvvise che rovinano le fioriture, ondate di calore, siccità e alluvioni. Il Coordinamento europeo de La Via Campesina punta il dito contro misure di mitigazione del cambiamento climatico insufficienti e mancanza di investimenti nella tutela delle risorse naturali. Secondo Pier Francesco, Commissione Europea e grandi organizzazioni agricole puntano molto sulla gestione del rischio e su strumenti assicurativi e finanziari per sostenere gli agricoltori, più che affrontare le radici del problema. «Vogliono, di fatto, portare avanti un tipo di agricoltura legato alle monocolture e alla semplificazione del paesaggio agrario, che inevitabilmente genera maggiori rischi».
Non sono solo i grandi produttori ad essere danneggiati dagli effetti del cambiamento climatico. A farne le spese sono anche i piccoli agricoltori iper-specializzati: «Oggi si trovano in un doppio imbuto: per la vendita dei prodotti sono costretti a rivolgersi a intermediari e non diversificando sono molto più fragili davanti a un evento atmosferico avverso». «C’è chi ha dovuto mettere a coltura l’interfilare tra un albero da frutto e l’altro per produrre anche orticole, dopo aver subito gelate», racconta il giovane attivista.
Gli impatti dei cambiamenti climatici sui piccoli agricoltori non sono solo immediati. Pier Francesco vede un altro rischio, soprattutto in Europa: l’abbandono dell’attività e una progressiva concentrazione aziendale. La proprietà della terra e la produzione agricola potrebbero finire nelle mani di un numero sempre più limitato di imprese. Il gruppo di cui è portavoce è una voce autonoma e autorganizzata del movimento contadino de La Via Campesina, che porta avanti, con la prospettiva giovanile, tematiche trasversali: «Ci occupiamo di biodiversità, agroecologia, sovranità alimentare, politiche pubbliche e lavoro».
Oggi le problematiche più sentite dai giovani agricoltori in Europa sono: i limiti d’accesso alla terra e la difficoltà di avviare nuove aziende. «Esiste un enorme problema di ricambio generazionale e di abbandono delle aziende agricole per sopraggiunti limiti d’età ma ai giovani la nuova Pac (Politica agricola comune) ha destinato solo il 3% dei fondi nazionali», afferma Pier Francesco, chiedendo un maggior impegno delle politiche pubbliche nei confronti degli aspiranti contadini.
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