Cultura

La ricerca della politica nell’età dell’indignazione

IllustrazioneIkon Images / foto Ap

SCAFFALE «Le piazze vuote» di Filippo Barbera, per Laterza

Pubblicato circa un mese faEdizione del 28 agosto 2024

La domanda è di quelle decisive: dove nasce la politica? Il dilemma può apparire generico, banale o fin troppo teorico, ma in tempi di tecnocrazie, automatismi del mercato, scorciatoie identitarie, e rischi autoritari, porsi questo problema è non solo legittimo ma anche utile. Filippo Barbera in Le piazze vuote (Laterza, pp. 176, euro 18) parte col piede giusto. Sostiene che una politica trasformatrice, nel segno della partecipazione e della giustizia per tutti, ha bisogno di luoghi di scambio e incontro. Di spazi pubblici.

LA MANCANZA di questo presupposto fondamentale è rappresentata dal titolo stesso del libro. Senza piazze ricolme di storie individuali che man mano si riconoscono come collettive non c’è spazio per nessuna forma di politica dal basso. Delegare, come troppo spesso è avvenuto in questi anni più per inerzia che per convinzione, alle piattaforme digitali la spinta all’azione può accelerare i tempi ma alla lunga si trasforma in un processo asfittico e poco radicato.
Non che le piazze siano vuote. Al contrario, da qualche tempo non appena si presenta l’occasione, moltissime persone manifestano la loro disponibilità a scendere per strada e mescolarsi. Come Barbera sottolinea, tuttavia, è che manca il passaggio ulteriore che trasforma l’indignazione in forma politica vera e propria. Di più: l’evocazione degli spazi condivisi prima si approfondisce e si evolve nel racconto di alcune esperienze concrete che l’autore considera emblematiche e poi trasloca, con gli occhi del sociologo delle aree interne, in quegli spazi ibridi che non sono né campagna né città e che rappresentano, ancora una volta, in forma esemplare la complessità dei luoghi che ci troviamo davanti.

SI POTREBBE AGGIUNGERE, sempre restando alla potente linea di ragionamento che tiene insieme la dimensione spaziale e i processi politici, quanto diversi urbanisti e sociologi urbani ci raccontano da tempo: la graduale cancellazione dalle nostre città di ogni spazio pubblico, la criminalizzazione dei luoghi che sono contemporaneamente di tutti e di nessuno. Ciò che ha trasformato la politica in semplice amministrazione. Ballardianamente, le nostre città sono diventati enormi condomini in cui le terre di mezzo che dovevano servire a far vivere insieme i cittadini sono diventati spazi che suddividono una proprietà privata dall’altra: le piazze come enormi pianerottoli da sorvegliare. Viene in mente anche il dibattito, svoltosi sulle pagine di questo giornale negli anni della diffusione a tappeto dei centri sociali autogestiti, sulla creazione di sfere pubbliche non statuali, ancora una volta come pre-condizione di una nuova forma della politica dopo la fine della centralità di scuole, fabbriche e università.

Il saggio di Barbera può essere letto come una prima mappatura delle zone ibride, in between, che caratterizzano il nostro paesaggio: tra pubblico e privato, tra collettivo e individuale, tra città e aree interne, tra ricchezza costituente del sociale e autonomia della politica, tra lavoro salariato e riproduzione, tra protagonismo diretto e delega, tra sfera digitale e vita reale. Più in generale, forse, lo spazio da attraversare è quello che si dà tra politica e vita e che dopo la fine del ’900 si ritrova marxianamente al centro della produzione.

BARBERA HA IL MERITO di mettere a terra le categorie della sociologia accademica per provare a farle interagire con fatti concreti e sperimentazioni preziose: il Forum Disuguaglianze e Diversità, l’Alleanza contro la povera e l’esperienza del collettivo di fabbrica Gkn di Campi Bisenzio. Oltre alle importanti esperienze citate, negli ultimi anni altre indicazioni sono venute dai movimenti per la giustizia climatica (che politicizzano la protezione della vita in quanto tale), dall’irruzione nelle piazze della marea transfemminista (cos’è il lavoro di cura se non quello spazio di costruzione collettiva e protezione reciproca che non viene riconosciuto dal capitale?), dalle trame globali dei movimenti dei migranti, indecifrabili dalle sterili categorie della politica nazione-centrica. Siamo in cammino con questo bagaglio, leggero ma indispensabile, alla ricerca della politica. Consapevoli che questa volta è impossibile davvero tornare indietro.

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