Cultura

La ricerca abbraccia l’antirazzismo

La ricerca abbraccia l’antirazzismoUna installazione di Hank Willis Thomas

TEMPI PRESENTI Il «manifesto della diversità e dell’unità umana» accende il dibattito. Gli antropologi italiani demoliscono la «razza» in un documento edito anche dalla rivista «Nature». Adesso sta circolando nei laboratori di mezzo mondo. L’idea è venuta a Giovanni Destro Bisol, studioso della genetica delle popolazioni alla Sapienza di Roma

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 3 marzo 2019

Sono passati più di ottant’anni, ma agli scienziati italiani brucia ancora il «manifesto della razza» firmato dai loro colleghi nel 1938 a sostegno dell’antisemitismo fascista. E dato che i tempi non promettono niente di buono, antropologi, biologi, genetisti e filosofi hanno scritto un nuovo «Manifesto della diversità e dell’unità umana». Stavolta, sembrano dire gli studiosi, la comunità scientifica non è disposta a piegarsi di fronte a slogan come «prima gli italiani».

IL MANIFESTO redatto in inglese e italiano è stato pubblicato anche dalla rivista Nature e adesso sta circolando nei laboratori di mezzo mondo. L’idea è venuta all’antropologo Giovanni Destro Bisol, studioso della genetica delle popolazioni alla Sapienza di Roma, che si è fatto aiutare dai colleghi Maria Enrica Danubio e Mariano Pavanello, dalla filosofa Elena Gagliasso, dal giornalista Pietro Greco e da un’insegnante, Alessandra Magistrelli.
Il testo ribadisce concetti noti agli scienziati ma su cui forse c’è ancora bisogno di divulgazione. Il concetto di «razza», oltre a essere politicamente scorretto, è scientificamente infondato. «Da qualsiasi parte del mondo provengano, gli esseri umani condividono più del 99% del loro Dna», scrivono gli antropologi nel manifesto. «Le differenze genetiche tra individui che appartengono a una stessa popolazione sono, in media, poco più piccole di quelle tra individui che appartengono a continenti diversi».
Semmai, ha senso parlare di «popolazioni», insiemi di persone che condividono uno spazio, una storia e una cultura. Ma «in una singola popolazione è già presente una parte rilevante di tutta la diversità genetica umana». Le differenze nei caratteri fisici, come il colore della pelle, «sono il risultato dell’adattamento all’ambiente a livello di pochi geni e che non hanno nulla a che vedere con comportamenti o attitudini».
Gli scienziati però non si fermano al piano strettamente scientifico. Ricordano che l’origine degli italiani, come di tutta l’umanità, è africana e che sta prendendo piede una forma di neo-razzismo «secondo cui le differenze culturali e religiose separano irrimediabilmente i gruppi umani e giustificano politiche e atti discriminatori».

IL COORDINATORE dell’iniziativa Giovanni Destro Bisol sottolinea come il manifesto non sia una presa di posizione contro questo o quel governo, e che il processo di elaborazione sia partito da più lontano. «Ho lanciato l’idea prima dei fatti di Macerata», racconta, «però in quell’occasione abbiamo capito che bisognava porre l’accento sul nuovo razzismo, fondato su distinzioni culturali e non biologiche. Anche se le une alimentano le altre».
Scrivere un documento comune non era scontato. Alcuni degli autori del manifesto di oggi avevano già all’attivo un altro «manifesto degli scienziati anti-razzisti», datato 2008. Inoltre, c’era da mettere in collegamento due comunità scientifiche diverse: «All’estero lo studio dell’antropologia unisce il punto di vista storico e quello biologico. In Italia si tratta di due comunità distinte e ci è voluto del tempo per riunirle per prendere posizioni pubbliche comuni».
Al di là di ogni possibile «buonismo», gli scienziati citano lo scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun nell’affermare che anche chi è vittima di razzismo può a sua volta essere razzista. Però, non nascondono le «evidenti asimmetrie» tra i «razzismi nati e cresciuti nei gruppi dominanti» e le «forma di reazione sorte in minoranze emarginate e discriminate».

IL CONCETTO DI RAZZA può dunque rinascere dove meno te lo aspetti. In medicina, per esempio, gli afro-americani rivendicano una maggiore attenzione alle patologie che colpiscono in modo specifico la loro comunità. Non si rischia di riesumare, anche se a fin di bene, la distinzione biologica tra bianchi e neri? «Può succedere. Per esempio, la Food and Drug Administration statunitense ha autorizzato l’uso del BiDil (un farmaco contro lo scompenso cardiaco) solo nella comunità afro-americana. Ma questo uso del concetto di razza è molto controverso. È utile per le case farmaceutiche perché aiuta le vendite, ma in realtà la letteratura scientifica mostra che all’interno della comunità afro-americana ci sono ulteriori differenze a livello di sottopopolazione. Dunque non ha molto senso parlare di afro-americani a livello sanitario.
Certo, ci sono patologie specifiche ma dipendono da fattori ambientali come l’alimentazione e altri fattori socio-economici che, purtroppo, sono correlati al colore della pelle». Spesso queste classificazioni sono usate anche dagli scienziati. «E infatti c’è un grande dibattito negli Usa sull’appropriatezza di questa terminologia», spiega Destro Bisol. «A mio avviso potremmo fare a meno di parlare di razza. Ci sono altre parole, più precise e fondate, per classificare le popolazioni».

EPPURE LA PAROLA «razza» compare ancora all’articolo 3 della Costituzione. Alcuni dei firmatari del manifesto odierno qualche anno fa proposero una modifica per eliminare il termine. Destro Bisol aveva una posizione leggermente diversa: «non ero favorevole alla cancellazione pura e semplice del termine, ma per riformulare la Costituzione in modo da attribuire al concetto di razza la connotazione di infondatezza che ne diamo oggi».
Nel 2018 vi fu una proposta formale che andava in questo senso. «Ci ispirammo a un’iniziativa analoga del parlamento francese, che lo scorso luglio ha eliminato il termine razza dalla Costituzione. In Italia insorsero i costituzionalisti, per i quali l’eliminazione equivaleva al tradimento del fondamento antifascista della Costituzione. Ma in questo modo si è persa un’occasione per avviare una riflessione nella società, non riservata agli specialisti, sul concetto di razza e di razzismo».

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SCHEDE

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Fu un vulcano a uccidere i dinosauri?

Quando si estinsero i dinosauri, la Terra era un pianeta davvero pericoloso. Oltre all’arrivo di un gigantesco asteroide nello Yucatan, nello stesso periodo il pianeta fu scosso da colossali eruzioni vulcaniche in India. A causa di tali eruzioni, una regione grande quasi il doppio dell’Italia (i «trappi di Deccan») fu coperta da uno strato di lava spesso fino a due chilometri. Le eruzioni rilasciarono in atmosfera una quantità di polveri in grado di schermare il sole e raffreddare il pianeta per decine di migliaia di anni. Secondo lo scenario alternativo proposto da due studi pubblicati su Science, a uccidere i dinosauri fu forse l’effetto combinato dell’eruzione e dell’asteroide. La scoperta è dovuta a due nuove radiodatazioni dei trappi di Deccan, realizzate analizzando la composizione chimica di rocce ricche di argon, uranio e piombo e molto più precise di quelle disponibili in precedenza. (an. cap.)

 

 

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Un mondo caldo e senza nuvole

Se l’anidride carbonica in atmosfera triplicasse (difficile ma non impossibile, agli attuali ritmi di emissione), le nuvole potrebbero svanire dall’atmosfera, perché il calore catturato dal gas e l’aumento di temperatura potrebbero ostacolare la formazione loro formazione. Se ciò avvenisse, l’aumento di radiazione solare arriverebbe a sollevare la temperatura fino a otto gradi centigradi, con conseguenza catastrofiche per ogni forma di vita sulla Terra. Sono le conclusioni di uno scioccante studi pubblicato sulla rivista «Nature Geoscience». Molti esperti però invitano alla cautela. Lo studio si riferisce a una singola regione dell’atmosfera e non tiene conto dei fenomeni di riequilibrio che avverrebbero a livello globale. Secondo molti scienziati interpellati dalla rivista rivale «Science», non abbiamo ancora modelli teorici abbastanza sofisticati per comprendere in dettaglio il processo di formazione delle nubi. (an. cap.)

 

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Mutazioni genetiche non desiderate

Secondo due studi pubblicati sulla rivista «Science», le tecniche più moderne di modifica genetica possono causare centinaia di mutazioni non desiderate. Gli studi, realizzati in collaborazione da scienziati cinesi e statunitensi, sono stati condotti sui topi e sul riso e hanno fornito risultati simili. I biologi hanno messo alla prova la tecnica più sofisticata di modifica genetica. Nel 2016, il biologo statunitense David Liu nel 2016, usando un metodo simile al più noto CRISPR, riuscì a correggere una singola «base» del DNA (il Dna è una catena di miliardi di basi) di una cellula. I nuovi studi hanno evidenziato che la tecnica introduce mutazioni anche in regioni del DNA non previste e, nel caso peggiore, provocare tumori e altre malattie. Secondo Liu le mutazioni casuali che avvengono naturalmente e quelle indotte dai raggi cosmici che colpiscono la terra sono anche più numerose. (an. cap.)

 

 

 

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