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La ricchezza dei miscugli evolutivi nelle semine del Nuovo Mondo

Appariva davvero strano, fuoriluogo, ai contadini romani, quando si accingevano alle semine, di adottare una ed una sola, unica varietà di grano. Le ragioni erano evidenti, risapute. Chi può sapere […]

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 13 gennaio 2022

Appariva davvero strano, fuoriluogo, ai contadini romani, quando si accingevano alle semine, di adottare una ed una sola, unica varietà di grano. Le ragioni erano evidenti, risapute. Chi può sapere come andrà un’annata? Chi può conoscere se sarà piovosa o secca, chi potrà mai prevedere se sarà ventosa? Queste cose, l’imprevedibilità delle stagioni, ci sono ignote ancora oggi, anzi, è pure peggio. I cambiamenti climatici espongono i campi ad avversità prima localizzate lungo il corso di particolari momenti dell’anno; oggi, la grandine, per esempio, può benissimo devastare i raccolti in mesi solitamente esenti da questa calamità.

PER GLI ANTICHI, QUINDI, era assolutamente normale, era ragionevole seminare più varietà di grano contemporaneamente. Non avendo la certezza di prevedere l’andamento climatico stagionale, seminare varietà di grani diversi, significava mettersi comunque in condizione di avere un raccolto. Grani misti, prescelti tra quelli rivelatisi resistenti all’umidità, grani più adatti a resistere all’allettamento, ovvero a piegarsi, grani selezionati con l’osservazione, più adatti a resistere al secco. Si trattava di un sapere che apparteneva alle comunità contadine ed era caratteristica loro propria, frutto di esperienze che si tramandavano di generazione in generazione e che venivano condivise, il mondo della campagna essendo un mondo di riflessioni e di pensiero collettivo.

SAPPIAMO ANCHE CHE nell’America precolombiana, e questa tradizione è stata ripresa negli ultimi decenni, annualmente, nel corso di grandi feste, le popolazioni originarie, partendo a piedi dalle regioni più remote delle Ande, recavano con sé, avvolte nei grandi scialli colorati, quantità di sementi. Nel momento culminante delle celebrazioni, riunendo tutti gli scialli, mescolando insieme i legumi, ciascuno riprendeva e riportava a casa la stessa quantità che aveva portato, ma non le stesse varietà. E questo si faceva con i legumi ma anche con il mais e con le varie specie commestibili del Nuovo Mondo.

KOKOPELLI, LA DIVINITA’ protettrice, quel genio raffigurato con una gobba, in realtà una sporta di sementi, suonando con il suo flauto, e portatore di un fallo, (falli che i missionari spezzarono, al seguito dei Conquistadores) ingenerava la fertilità nelle sementi.

OGGI, I MAPUCHE, IN CILE, hanno ripreso questa antica usanza e nel corso dei Trakfintu, gli scambi di semi, hanno riportato in auge quelle tradizioni. Tradizioni necessarie, frutto di una intelligenza maturata sul campo e radicata nel corso dei millenni. Nel mondo dei genetisti, dopo la famigerata «rivoluzione verde» che altro non è stata che la sottomissione del mondo contadino, implicitamente tacciato di ignoranza, alle mire dell’agroindustria, nel mondo degli agronomi, finalmente anche in Italia, molto benvoluti dal popolo dei salvatori di semi, riconosciuti dai contadini che vogliono riappropriarsi senza complessi della migliore tradizione rurale, studiosi sul campo come Salvatore Ceccarelli, dopo decenni di studi sul campo ai quattro angoli del globo, hanno riportato in auge le pratiche più antiche.

«MESCOLATE, CONTADINI, mescolate» edito da Pentagora, 174 pagine, euro 12, racconta di come questo studioso, viaggiando nelle aree più diverse della terra, ha incontrato ed ascoltato, ha lavorato spalla a spalla, fianco a fianco di contadine e contadini, dallo Yemen alla Siria, in Etiopia, in tanti altri posti del mondo, fuori dalle «stazioni sperimentali» ma nei campi veri. Ha condotto ricerche che lo hanno portato al riconoscimento scientifico della validità del metodo del seminare quelli – e Salvatore Ceccarelli ne è certamente l’ideatore italiano – che egli chiama «miscugli evolutivi»: si tratta di ridare ai contadini quella contezza dell’essere essi stessi e non altri al posto loro, gli artefici di quella «selezione genetica partecipativa», ossia di una pratica di ricerca dal basso che riattribuisca al mondo contadino quel potere di decidere ripartendo dall’osservazione sul campo, quali siano le varietà più adatte ad un determinato ambiente.

SI STANNO CONDUCENDO, un po’ dappertutto nella Penisola, esperimenti di semina con i «miscugli evolutivi» ovvero semine con varietà di cereali diversi. E’ il riconoscimento di buone pratiche, e Salvatore Ceccarelli ha senza dubbio alcuno il pregio di avere dato loro il credito scientifico che meritavano.

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