La resistenza di Lesegno, in presidio 256 lavoratori
Piemonte Oggi trattativa della regione
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L’impianto di Lesegno fu rilevato dalla famiglia Riva nel 1966, quando ancora si chiamava Acciaierie e Ferriere del Tanaro. «Entrarci era come ottenere un impiego pubblico. In poche parole, era un posto sicuro. E questo lo è stato fino a giovedì», racconta Davide Balocco, sindaco del piccolo comune cuneese. Lesegno è un borgo di nemmeno mille anime, spartiacque tra tra Monregalese (Mondovì) e Cebano (Ceva). Da meno di una settimana – da quando i 256 lavoratori della Riva Acciaio sono stati «messi in libertà» – si è trovato su un’inattesa ribalta nazionale.
I 256 sono in presidio e non smobilitano. Da giovedì, giorno e notte, si alternano ai cancelli della loro fabbrica. «Non sappiamo più chi siamo: se siamo assunti o licenziati». Seguono a distanza e con amara disillusione l’incontro tra il ministro Zanonato e il presidente dell’Ilva, Bruno Ferrante, rappresentante dei Riva: «Pensiamo possa essere decisivo l’incontro di giovedì tra il ministro e i sindacati. Sapremo se commissarieranno o no l’azienda» dice Nicola Paolino, rsu Fiom, assunto 19 anni fa in Riva Acciaio. Scuotono la testa gli operai: «Abbiamo commesse, il nostro è uno stabilimento sano. Perché ci hanno chiuso? Dobbiamo ripartire al più presto». All’inizio, il primo bersaglio della rabbia è stata la magistratura: «Ci avevano detto che chiudevano per colpa dei giudici». Uno spauracchio che è durato poco: «Ci siamo informati e abbiamo capito che la realtà non era proprio così». La scelta era dell’azienda.
A Lesegno si producono barre, billette, tondi e blumi d’acciaio speciale, pronti per la realizzazione di componentistica meccanica della Caterpillar o della Berco e di molte altre imprese del ramificato indotto. All’interno dello stabilimento cuneese ci sono un forno elettrico e un forno a gas, che una volta spenti impiegheranno tre o quattro giorni per ripartire. «Abbiamo 30 mila tonnellate di materiale da spedire e 60-70 mila tonnellate ordinate da vari clienti, che significano mesi di lavoro sicuro», racconta Paolino, che aggiunge: «Certo, di riflesso, eravamo preoccupati delle vicende Ilva, ma i dirigenti di Riva Acciaio ci avevano rassicurato. D’altronde loro stessi avevano investito negli ultimi anni 60 milioni di euro per il rifacimento di impianti idraulici, manutenzione e interventi relativi all’abbattimento dei fumi. Anche l’Arpa ha detto che non inquiniamo. Non capiamo, quindi perché siamo fermi».
Oggi pomeriggio è convocato un tavolo in Regione Piemonte, gira voce che possa essere presente Cesare Riva, nipote di Emilio, dirigente del gruppo. Le consigliere Artesio (Fds) e Cerutti (Sel) sollecitano la giunta Cota di far pressione sul governo perché convochi presto un tavolo sulle aziende della famiglia lombarda. «Riva Acciaio deve essere commissariata e le attività devono ripartire» sottolinea Davide Mollo, Fiom Cuneo. Tra i lavoratori, davanti ai cancelli, si discute fino a quando tenere in piedi il presidio. Chi vorrebbe continuare fino al riavvio della produzione e chi suggerisce di fermarsi una volta ottenuta la cassa integrazione. Sarà deciso nei prossimi giorni. Ieri sera la questione è stata affrontata dagli amministratori locali nel comune di Lesegno: «Abbiamo sottoscritto un documento di solidarietà ai lavoratori – spiega il sindaco Balocco – e di richiesta alle parti in causa di trovare una soluzione per garantire la continuità occupazionale».
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