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La resistenza di frau Merkel

La resistenza di frau MerkelAngela Merkel

Germania Con un discorso sottotitolato in arabo, la cancelliera rivendica la politica di accoglienza tedesca verso i migranti. «Per l’integrazione ci vorrà tempo - dice -, ma rappresenta le fondamenta dela nostra società»

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 2 gennaio 2016

Germany, governo da Berlino dei flussi migratori, tradizione applicata al futuro. È il marchio di fabbrica di Angela Merkel, in corsa per il quarto mandato da Kanzlerin federale. Lo ha scandito in diretta dagli schermi di Zdf, la televisione pubblica di Magonza: «È importante non dar seguito a coloro che, con freddezza o addirittura odio nei loro cuori, pretendono l’identità tedesca esclusivamente per sé negandola agli altri».

Un discorso, sottotitolato in arabo e inglese, che conferma la linea politica uscita vincente dal recente congresso Cdu di Karlsruhe. «Sono profondamente convinta: affrontato per il verso giusto anche il grande compito dell’arrivo e dell’integrazione di così tante persone è un’opportunità per il domani. Tutto dipenderà dalla capacità di stare uniti».
Mutti Angela ringrazia i volontari per «l’ondata di spontanea solidarietà con cui hanno accolto i rifugiati» e rivendica lo spirito convincente della riunificazione, lo stesso che ha permesso alla Germania di Helmut Kohl di metabolizzare una sfida altrettanto gigantesca. Il milione di migranti del 2015 ha messo sotto pressione i 16 Land e le autorità locali «ben oltre quanto spettasse ai nostri obblighi». Il capo del governo spiega ai tedeschi quello che ha convinto i delegati del suo partito.

E avverte: «Per l’integrazione ci vorrà tempo, denaro e fatica, senza ricadere negli errori del passato e difendendo il modello di integrazione che rispetta i nostri valori, le tradizioni, le leggi, la lingua e le regole». L’esempio migliore della ricetta democristiana? La nazionale campione del mondo che schiererà agli Europei di giugno in Francia calciatori tedeschi all’anagrafe, ma di origine turca, albanese, ghanese, tunisina, polacca e marocchina.

Nessuna concessione al populismo, ai sovranisti e agli alleati di coalizione. «Sono queste le fondamenta che sorreggono la nostra società, requisiti fondamentali per la convivenza positiva e reciprocamente rispettosa di tutte le persone in Germania. Vale per tutti coloro che vogliono vivere qui. L’immigrazione così comporta un guadagno economico e sociale». Ma è anche «un concetto politico globale» che deve coinvolgere tutti i livelli: nazionale, europeo e internazionale.

Anche in tv Merkel ribadisce l’imperativo categorico «Wir schaffen das – ce la possiamo fare» perché «la Germania è un paese forte». Messaggio forte e chiaro anche per Bruxelles, tanto più che lei nel 2017 punta alla consacrazione politica e storica sulla scia di Vladimir Putin (zar dal 1999) e Recep Erdogan (sultano dal 2003).

Missione impossibile secondo Financial Times che pure aveva scelto proprio Merkel come personaggio dell’anno 2015: «Aprendo le porte dell’Europa ad oltre un milione di rifugiati, per lo più musulmani, Angela Merkel lascia un’eredità permanente quanto quella del suo mentore Kohl, che ha presieduto il processo di riunificazione tedesca e la nascita dell’euro».

Gideon Rachman, capo del desk esteri della prestigiosa testata inglese, prevede al contrario la caduta della cancelliera proprio a causa dell’emergenza profughi: «Al ritmo di migliaia di arrivi al giorno, la pressione diventerà insostenibile fino a rendere ingestibile la situazione». Di qui la previsione di Rachman: Merkel lascerebbe, proprio sulla soglia del nuovo storico mandato.

Fuori dal discorso ufficiale, in realtà, c’è la vera agenda europea della cancelliera. Il «confronto» con il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker sul controllo dei conti pubblici dei 28 paesi membri. La vicenda dei rapporti con la Russia che va al di là del disegno geografico per il gasdotto baltico. E soprattutto la bomba a orologeria del referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Ue: per Merkel, l’eventuale Brexit sarebbe ben peggio della scongiurata Grexit.

Nel frattempo, Die Welt contabilizza la spesa per la gestione dei profughi. Nel 2016 è prevista una somma pari a 16,5 miliardi di euro, in base ai bilanci dei responsabili finanziari delle regioni tedesche con l’eccezione di Brema, città-stato che non ha fornito cifre. Uscite più onerose rispetto a quelle del sistema dell’educazione che assorbe15,3 miliardi all’anno.

In parallelo procede spedita la politica dei rimpatri. Le statistiche ufficiali – fornite da Thomas de Maizière, ministro degli interni e «falco» Cdu – registrano fino a novembre 2015 l’esecuzione di 18.363 procedure di espulsione dalla Germania. In tutto il 2014 i rimpatri erano stati 10.844. In cima alla classifica delle domande dei richiedenti asilo respinte la Baviera di Horst Seehofer, padre-padrone della Csu: oltre 3.600 rimpatriati rispetto al migliaio di dodici mesi prima. Soltanto in Turingia l’unico fenomeno in controtendenza con 152 rimpatri rispetto ai precedenti 234.

E da oggi si apre il capitolo, anche politico, della gestione dei minori non accompagnati: ora saranno distribuiti in tutti i Land e non più affidati a chi li aveva registrati al momento del loro ingresso in Germania.

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