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La resistenza di Feriel, ragazza a Algeri che combatte la paura

La resistenza di Feriel, ragazza a Algeri che combatte la paura

Venezia 74 Tra le sorprese della Mostra del cinema appena chiusa, «Les Bienheureux», esordio di Sofia Djama, nella sezione Orizzonti, premio per la migliore attrice alla protagonista, Lyna Khouri

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 12 settembre 2017

Algeri, la guerra civile è finita da qualche anno, Amal e Samir sono una coppia di cinquantenni che hanno lottato per la democrazia, docente universitaria lei, ginecologo che pratica aborti clandestini scatenando le ire degli integralisti lui, hanno deciso di festeggiare il loro anniversario di nozze in un ristorante che amano molto. Hanno un figlio, Fahim, la madre lo spinge a partire, a studiare in Francia, il padre si oppone, crede ancora in una possibilità di resistenza in Algeria, che poi è anche la scelta del suo lavoro. Pure il ragazzo preferirebbe rimanere ma in contrasto coi genitori, per indispettirli ascolta le prediche degli imam alla radio il punk integralista, e insieme agli amici fuma, va in giro, la religione è il baluardo contro l’angoscia della fragilità. C’è chi vuole tatuarsi le parole di una sura sulle spalle e chi invece come Feriel, l’amica del cuore li sfotte – «un tappeto non è sacro è solo un oggetto» gli urla contro sfidando le malelingue e chi vorrebbe vederla silenziosa in casa perché è una ragazza. In strada la polizia spadroneggia, i religiosi dettano legge, i ricordi sono dolorosi, la guerra ha toccato tutti anche se nessuno ne parla.

 

 

Les bienheureux è il film di esordio di Sofia Djama, algerina, nata a Orano, studi di letteratura a Algeri, autrice di un corto, Mollement un samedi matin (2000), molto premiato. Era nella sezione Orizzonti – peccato che tanti film presentati lì abbiamo poco rilievo mediatico da noi e minime possibilità di arrivare in sala – la giuria di Gianni Amelio ha consegnato il Leone alla sua giovane attrice, Lyna Khoudri, un riconoscimento che premia anche una delle migliori opere prime viste alla Mostra.

 

 

Djama racconta l’Algeria del dopo guerra civile senza pretese di assoluto scegliendo come punto di vista lo scontro generazionale tra figure, giovani e meno giovani che vivono un comune disorientamento.
Sono spaesati il marito e la moglie, col loro passato deluso di cui non riescono a rintracciare più nulla o quasi nel presente. E lo sono i ragazzi coi loro tentativi maldestri di ribellione. «La guerra è ancora nelle menti degli algerini, nessuno ne è stato risparmiato. Eppure c’è molta riluttanza a pronunciare persino la parola ’guerra’, la chiamano decade nera o tragedia nazionale. Invece ci ha cambiati, ha modificato le nostre priorità » dice la regista.

 

 

La narrazione segue i personaggi per ventiquattro ore, una giornata in cui la dimensione quotidiana viene scandita da quanto li circonda, da quella strana sospensione che, in modo diverso, ne paralizza i gesti e le energie. Djama li accompagna con discrezione, senza sottolineature; filma lungo le traiettorie della città, resa quasi un personaggio, ostile, dalla quale tutti sembrano risucchiati. La sola a sfidarla è Feriel, ragazzina piena di dolore mascherato da coraggio, è la più l combattiva, colei che nelle sue parole, e nelle sue volute «provocazioni» manifesta il conflitto che la circonda a cominciare dalla sua condizione di donna. E che senza paura fa domande sul passato, su quella storia rimossa.

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